domenica 30 agosto 2015

Televisione, televisione






“La tua casa è molto bella!”
“Grazie”, rispose Francesca, “merito anche delle mie coinquiline. Siamo diventate una sorta di comunità, pensa, mi danno una mano anche con i bambini, sono stata davvero fortunata...”
“Ti riferisci ad Alessandro?”
“Sì, Alessandro, e tutti gli altri. A volte dallo studio mi chiamano senza preavviso, e loro si preoccupano di tenerli occupati. E quando non posso uscire perché sono stanca, fanno a gara per portarli a zonzo. Ormai siamo diventate come sorelle!” Mentre pronunciava questa frase Francesca mosse il braccio verso la finestra, come se intendesse domandare alle prime rondini una conferma alle sue parole.
“Dai, è una bella fortuna”, rispose impensierito Riccardo, “anch’io ho avuto una baby sitter, ma era una nazista travestita da Mary Poppins. Del resto miei genitori hanno sempre lavorato, così io ed i miei fratelli abbiamo trascorso molto tempo da soli.”
“Sono i ritmi imposti dalla società”, rispose Francesca sedendosi sul letto, “i bambini sono lasciati soli oppure in compagnia di baby sitter, perché i genitori devono lavorare per conservare un alto standard di vita. S’illudono che i regali possano sostituire il tempo non trascorso con i figli, ma quest’idea è una sciagurata sciocchezza...”

Intanto il piccolo Alessandro, forse annoiato dai quei discorsi, pensò di ritornare ai suoi compiti. Nel frattempo i due ragazzi andarono nel soggiorno, invaso intensamente dalla luce del pomeriggio.
“Oggi per una famiglia è complicato trovare un lavoro, figuriamoci due. Talvolta sono le madri a lavorare ed i mariti restano a casa con i bambini, in ansia per il loro licenziamento, la mobilità o la cassa integrazione. Un sovvertimento forzato del patriarcato, dove gli stessi figli assorbono la frustrazione forzata del genitore, legata ad una crisi economica strutturata e difficile da superare.”
“Sì, in effetti, la tua è una lettura corretta, valida ed allo stesso tempo preoccupante...”
“Non è necessario preoccuparsi troppo, soprattutto non serve a nulla. Tuttavia i veri problemi restano, muri difficili da oltrepassare, campi minati in cui la mappa del passaggio è stata bruciata.”
“Ti riferisci ai problemi economici generali?” Domandò Riccardo, muovendo le proprie mani come se stesse cercando di afferrare qualcosa sospeso a mezz’aria.
“No, piuttosto al decadimento morale in cui siamo scivolati. Insomma, l’individuo è destinato a tormentarsi, e la depressione fa allegramente il nido nelle nostre menti. Le persone sono frustrate, incapaci di reggere gli alti standard imposti dalla logica dei consumi... Vuoi una dimostrazione concreta? Guarda le statistiche, leggi quanto è aumentato l’uso dei psicofarmaci negli ultimi anni, una crescita quasi esponenziale!”

Francesca accese una sigaretta e ne offrì una a Riccardo, dunque cambiò posizione e si accomodò, ponendo la schiena in posizione eretta e le gambe incrociate.
“Questa cultura, che preferisco chiamare non cultura, invita le masse ad acquistare prodotti su prodotti. Non siamo cittadini dotati di diritti, ma semplici consumatori. Gli oggetti sono trasformati in status symbol, indicatori dell’appartenenza alle nuove classi sociali. Intanto i traguardi sono sempre più inaccessibili, e quanti non riescono a raggiungerli si sentono frustrati, sviluppando risentimento per la loro ghettizzazione, rispetto a coloro che si accaparrano beni di lusso.”
Per un attimo Francesca smise di parlare, osservando il lampadario con uno sguardo particolare, come se vedesse appeso qualcosa che non riusciva a focalizzare. Quando ricominciò il suo discorso, Riccardo pendeva letteralmente dalle sue labbra.

“Le multinazionali giocano facile, indicando modelli di vita funzionali al consumo: ci mostrano famiglie sprofondate nel lusso, case con giardino, dove tutti sono bellissimi, sorridenti, senza nessun problema che non sia quello della prima colazione, o della necessità di canali televisivi via cavo con relativo sconto. Famiglie perfette, cani di razza, uomini e donne dai sorrisi smaglianti, bambini biondi e paffutelli. Insomma, tutto ciò che avrebbe desiderato un regime nazifascista come risultato del suo programma di eugenetica. Naturalmente il tutto non è espresso in questi termini, ma in questo modo arriva subdolamente alle nostre menti. E’ come un messaggio subliminale, lo interiorizziamo senza accorgercene. Possiamo anche essere apertamente critici, ma tutti siamo vittime passive della sua logica...”

Francesca a questo punto mosse le mani a grande velocità, come se stesse compiendo una esibizione pubblica di arti marziali.
“Non possiamo comprenderlo, ma siamo incentivati a scontrarci gli uni con gli altri, una guerra senza esclusione di colpi. Tutti trascinati in un’insensata competizione, il cui terreno di scontro è l’accumulo di beni materiali, dalle lavastoviglie alle automobili, dai vestiti alle case, dai televisori per arrivare sino agli orologi da polso. Chi avrà un maggior numero di beni non otterrà nessun premio, se non l’illusione di appartenere ad una casta, esistente nel manipolato ordine della società dei consumi.”
“Ovvero?” Domandò Riccardo spegnando la sua sigaretta.
“Ovvero... Quali parole usare?” Disse Francesca guardando di lato, come se stesse considerando l’encefalogramma di una mente disturbata. “L’individuo è insoddisfatto, e cerca di combattere questa condizione con vari comportamenti, molti dei quali del tutto fuorvianti. Tra questi, quello più praticato è l’accumulo di oggetti, perché la pubblicità si fonda proprio sull’insoddisfazione. Oggi gli operatori del mercato studiano la psiche umana, e conoscono bene questa condizione mentale. Per questo, pianificate tecniche di marketing incoraggiano il desiderio dei prodotti, con un continuo bombardamento emozionale. Che so... Considera l’evoluzione dei cellulari, per quale motivo il consumatore non si accontenta delle semplici funzioni di una volta? La risposta è sotto gli occhi di tutti: la pubblicità stimola nuovi bisogni, un cellulare che non può collegarsi alla rete è immediatamente obsoleto. Nella corsa al profitto le multinazionali investono sul marketing, infatti, i prodotti hanno spesso le medesime caratteristiche, dunque la guerra per il profitto è spostata su un altro campo di battaglia...”

“Ingenti risorse sono spese per le ricerche, perché acquisire nuove fette di mercato dipende dai desideri somministrati con la pubblicità. Qui entra in gioco la psicologia... Il prodotto è studiato per diventare parte integrante della personalità, affinché questa visione si mescoli con l’immagine che vorremo avere di noi stessi. Chi si affida ad una determinata marca, in realtà, si affida ad una personalità che intende emulare nel breve o lungo termine. Per questo chi compra un frullatore “x” si sente una persona affidabile, chi calza “y” è un manager, utilizzare un dopobarba per sentirsi persone decise, magari che non devono chiedere mai.”
“Insomma, in base al tuo ragionamento”, commentò Riccardo, ”le persone sono indotte ad acquistare per confermare ciò che credono di essere, o ciò che vorrebbero diventare...”
“Hai afferrato il concetto! Ci illudiamo di avere una personalità fissa, immutabile e statica, ed in base a ciò orientiamo non solo i nostri comportamenti ma persino i nostri acquisti. Immagina un individuo che s’identifica con la figura del ribelle, per lui possedere una Harley Davidson sarà una conferma del suo immaginario “io”. Tuttavia la personalità è ben lontana dalla staticità, le nostre inclinazioni caratteriali cambiano in continuazione, anche in relazione alle esperienze vissute...”

Riccardo zittì Francesca con un ampio gesto del braccio, come un inquisitore capace d’interrogare quattro presunti eretici, per poi condannarli al rogo nel nome di una qualsiasi divinità.
“Il marketing ci parla come se avessimo una personalità statica”, commentò Riccardo roteando le spalle come un medium, “dunque i nostri acquisti devono essere in sintonia con questa personalità, che abbiamo o desideriamo avere...”
“Certo”, rispose Francesca agitando le mani, “ed in cambio otteniamo il sogno di un “io” preconfezionato, incartato dalle massicce dosi di pubblicità. Il marketing è inserito perfettamente nel meccanismo: si sono sgretolate le fondamenta della civiltà occidentale, e l’uomo brancola nel buio alla disperata ricerca di un rifugio, di una qualsiasi dottrina cui aggrapparsi. Si è visto privato di qualsiasi ideologia, da quella religiosa a quella politica, e sono rimasti i dettami, gli stereotipi e l’indottrinamento massmediatico della civiltà dei consumi. Nel passato il senso di colpa ci spingeva nelle cattedrali, ora la stessa inquietudine ci trascina verso i centri commerciali, oppure verso la più vicina rivendita di dispositivi elettronici...”

Per un istante Riccardo meditò sulle parole di Francesca. Quante volte lui ed Elisa avevano varcato le soglie dei grandi centri commerciali, solo per vincere quel particolare senso di vuoto, quella sottile inquietudine capace di consumarli lentamente. Quante volte aveva acquistato oggetti corrispondenti all’immagine che aveva di se stesso, un’immagine frutto solo della sua fantasia. Quante volte aveva stupidamente pensato: “No, non mi vedo con quella marca, non sono una persona del genere...”
“Insomma”, proseguì Francesca, “i centri commerciali sono i nostri punti di raccolta e d’incontro, dove esorcizziamo tanto le paure quanto il dolore esistenziale. Le moderne tecnologie ci abbagliano e ci stimolano, accendono la nostra fantasia ed i sensi, le carte fedeltà sono il lasciapassare verso un mondo di lussi e frullatori con molteplici funzioni...”

Dopo pochi istanti Riccardo si accorse che Francesca fissava il televisore, con espressione preoccupata ma totalmente decisa.
“Vedi Ricky, quella scatola magica, è uno dei principali problemi. La televisione è regolarmente collocata in ogni abitazione, bar, ovunque, e c’invia ossessivamente i messaggi/causa della nostra psicopatologia commerciale... La televisione è il nuovo maestro, se Edmondo De Amicis fosse vissuto nella nostra epoca, avrebbe di certo descritto il rapporto tra un ragazzo ed un televisore ultrasottile, piazzato sulla parete angolare di un salotto Ikea.”
“Dunque non più la famiglia e la scuola”, disse Riccardo osservando un manifesto di Janis Joplin, “ma proprio la televisione come principale agenzia educativa...”

Brano tratto da "Eclissi", di Vincenzo M. D'Ascanio