“La tua casa è molto bella!”
“Grazie”, rispose Francesca, “merito anche delle mie coinquiline.
Siamo diventate una sorta di comunità, pensa, mi danno una mano anche con i
bambini, sono stata davvero fortunata...”
“Ti riferisci ad Alessandro?”
“Sì, Alessandro, e tutti gli altri. A volte dallo studio mi
chiamano senza preavviso, e loro si preoccupano di tenerli occupati. E quando
non posso uscire perché sono stanca, fanno a gara per portarli a zonzo. Ormai
siamo diventate come sorelle!” Mentre pronunciava questa frase Francesca mosse il
braccio verso la finestra, come se intendesse domandare alle prime rondini una
conferma alle sue parole.
“Dai, è una bella fortuna”, rispose impensierito Riccardo, “anch’io
ho avuto una baby sitter, ma era una nazista travestita da Mary Poppins. Del
resto miei genitori hanno sempre lavorato, così io ed i miei fratelli abbiamo
trascorso molto tempo da soli.”
“Sono i ritmi imposti dalla società”, rispose Francesca sedendosi
sul letto, “i bambini sono lasciati soli oppure in compagnia di baby sitter,
perché i genitori devono lavorare per conservare un alto standard di vita. S’illudono
che i regali possano sostituire il tempo non trascorso con i figli, ma quest’idea
è una sciagurata sciocchezza...”
Intanto il piccolo Alessandro, forse annoiato dai quei
discorsi, pensò di ritornare ai suoi compiti. Nel frattempo i due ragazzi
andarono nel soggiorno, invaso intensamente dalla luce del pomeriggio.
“Oggi per una famiglia è complicato trovare un lavoro,
figuriamoci due. Talvolta sono le madri a lavorare ed i mariti restano a casa con
i bambini, in ansia per il loro licenziamento, la mobilità o la cassa
integrazione. Un sovvertimento forzato del patriarcato, dove gli stessi figli assorbono
la frustrazione forzata del genitore, legata ad una crisi economica strutturata
e difficile da superare.”
“Sì, in effetti, la tua è una lettura corretta, valida ed
allo stesso tempo preoccupante...”
“Non è necessario preoccuparsi troppo, soprattutto non serve
a nulla. Tuttavia i veri problemi restano, muri difficili da oltrepassare,
campi minati in cui la mappa del passaggio è stata bruciata.”
“Ti riferisci ai problemi economici generali?” Domandò Riccardo,
muovendo le proprie mani come se stesse cercando di afferrare qualcosa sospeso
a mezz’aria.
“No, piuttosto al decadimento morale in cui siamo scivolati.
Insomma, l’individuo è destinato a tormentarsi, e la depressione fa
allegramente il nido nelle nostre menti. Le persone sono frustrate, incapaci di
reggere gli alti standard imposti dalla logica dei consumi... Vuoi una
dimostrazione concreta? Guarda le statistiche, leggi quanto è aumentato l’uso
dei psicofarmaci negli ultimi anni, una crescita quasi esponenziale!”
Francesca accese una sigaretta e ne offrì una a Riccardo,
dunque cambiò posizione e si accomodò, ponendo la schiena in posizione eretta e
le gambe incrociate.
“Questa cultura, che preferisco chiamare non cultura, invita le masse ad acquistare
prodotti su prodotti. Non siamo cittadini dotati di diritti, ma semplici
consumatori. Gli oggetti sono trasformati in status symbol, indicatori
dell’appartenenza alle nuove classi sociali. Intanto i traguardi sono sempre
più inaccessibili, e quanti non riescono a raggiungerli si sentono frustrati, sviluppando
risentimento per la loro ghettizzazione, rispetto a coloro che si accaparrano beni
di lusso.”
Per un attimo Francesca smise di parlare, osservando il
lampadario con uno sguardo particolare, come se vedesse appeso qualcosa che non
riusciva a focalizzare. Quando ricominciò il suo discorso, Riccardo pendeva letteralmente
dalle sue labbra.
“Le multinazionali giocano facile, indicando modelli di vita
funzionali al consumo: ci mostrano famiglie sprofondate nel lusso, case con
giardino, dove tutti sono bellissimi, sorridenti, senza nessun problema che non
sia quello della prima colazione, o della necessità di canali televisivi via
cavo con relativo sconto. Famiglie perfette, cani di razza, uomini e donne dai
sorrisi smaglianti, bambini biondi e paffutelli. Insomma, tutto ciò che avrebbe
desiderato un regime nazifascista come risultato del suo programma di eugenetica.
Naturalmente il tutto non è espresso in questi termini, ma in questo modo
arriva subdolamente alle nostre menti. E’ come un messaggio subliminale, lo
interiorizziamo senza accorgercene. Possiamo anche essere apertamente critici,
ma tutti siamo vittime passive della sua logica...”
Francesca a questo punto mosse le mani a grande velocità,
come se stesse compiendo una esibizione pubblica di arti marziali.
“Non possiamo comprenderlo, ma siamo incentivati a scontrarci
gli uni con gli altri, una guerra senza esclusione di colpi. Tutti trascinati
in un’insensata competizione, il cui terreno di scontro è l’accumulo di beni
materiali, dalle lavastoviglie alle automobili, dai vestiti alle case, dai
televisori per arrivare sino agli orologi da polso. Chi avrà un maggior numero
di beni non otterrà nessun premio, se non l’illusione di appartenere ad una
casta, esistente nel manipolato ordine della società dei consumi.”
“Ovvero?” Domandò Riccardo spegnando la sua sigaretta.
“Ovvero... Quali parole usare?” Disse Francesca guardando di
lato, come se stesse considerando l’encefalogramma di una mente disturbata. “L’individuo
è insoddisfatto, e cerca di combattere questa condizione con vari comportamenti,
molti dei quali del tutto fuorvianti. Tra questi, quello più praticato è
l’accumulo di oggetti, perché la pubblicità si fonda proprio
sull’insoddisfazione. Oggi gli operatori del mercato studiano la psiche umana,
e conoscono bene questa condizione mentale. Per questo, pianificate tecniche di
marketing incoraggiano il desiderio dei prodotti, con un continuo bombardamento
emozionale. Che so... Considera l’evoluzione dei cellulari, per quale motivo il
consumatore non si accontenta delle semplici funzioni di una volta? La risposta
è sotto gli occhi di tutti: la pubblicità stimola nuovi bisogni, un cellulare
che non può collegarsi alla rete è immediatamente obsoleto. Nella corsa al
profitto le multinazionali investono sul marketing, infatti, i prodotti hanno
spesso le medesime caratteristiche, dunque la guerra per il profitto è spostata
su un altro campo di battaglia...”
“Ingenti risorse sono spese per le ricerche, perché
acquisire nuove fette di mercato dipende dai desideri somministrati con la
pubblicità. Qui entra in gioco la psicologia... Il prodotto è studiato per
diventare parte integrante della personalità, affinché questa visione si
mescoli con l’immagine che vorremo avere di noi stessi. Chi si affida ad una
determinata marca, in realtà, si affida ad una personalità che intende emulare
nel breve o lungo termine. Per questo chi compra un frullatore “x” si sente una
persona affidabile, chi calza “y” è un manager, utilizzare un dopobarba per
sentirsi persone decise, magari che non
devono chiedere mai.”
“Insomma, in base al tuo ragionamento”, commentò Riccardo, ”le
persone sono indotte ad acquistare per confermare ciò che credono di essere, o ciò
che vorrebbero diventare...”
“Hai afferrato il concetto! Ci illudiamo di avere una
personalità fissa, immutabile e statica, ed in base a ciò orientiamo non solo i
nostri comportamenti ma persino i nostri acquisti. Immagina un individuo che s’identifica
con la figura del ribelle, per lui possedere una Harley Davidson sarà una
conferma del suo immaginario “io”. Tuttavia la personalità è ben lontana dalla
staticità, le nostre inclinazioni caratteriali cambiano in continuazione, anche
in relazione alle esperienze vissute...”
Riccardo zittì Francesca con un ampio gesto del braccio,
come un inquisitore capace d’interrogare quattro presunti eretici, per poi
condannarli al rogo nel nome di una qualsiasi divinità.
“Il marketing ci parla come se avessimo una personalità statica”,
commentò Riccardo roteando le spalle come un medium, “dunque i nostri acquisti
devono essere in sintonia con questa personalità, che abbiamo o desideriamo
avere...”
“Certo”, rispose Francesca agitando le mani, “ed in cambio otteniamo
il sogno di un “io” preconfezionato, incartato dalle massicce dosi di
pubblicità. Il marketing è inserito perfettamente nel meccanismo: si sono
sgretolate le fondamenta della civiltà occidentale, e l’uomo brancola nel buio
alla disperata ricerca di un rifugio, di una qualsiasi dottrina cui
aggrapparsi. Si è visto privato di qualsiasi ideologia, da quella religiosa a
quella politica, e sono rimasti i dettami, gli stereotipi e l’indottrinamento
massmediatico della civiltà dei consumi. Nel passato il senso di colpa ci
spingeva nelle cattedrali, ora la stessa inquietudine ci trascina verso i
centri commerciali, oppure verso la più vicina rivendita di dispositivi elettronici...”
Per un istante Riccardo meditò sulle parole di Francesca.
Quante volte lui ed Elisa avevano varcato le soglie dei grandi centri
commerciali, solo per vincere quel particolare senso di vuoto, quella sottile
inquietudine capace di consumarli lentamente. Quante volte aveva acquistato oggetti
corrispondenti all’immagine che aveva di se stesso, un’immagine frutto solo
della sua fantasia. Quante volte aveva stupidamente pensato: “No, non mi vedo
con quella marca, non sono una persona del genere...”
“Insomma”, proseguì Francesca, “i centri commerciali sono i
nostri punti di raccolta e d’incontro, dove esorcizziamo tanto le paure quanto
il dolore esistenziale. Le moderne tecnologie ci abbagliano e ci stimolano, accendono
la nostra fantasia ed i sensi, le carte fedeltà sono il lasciapassare verso un
mondo di lussi e frullatori con molteplici funzioni...”
Dopo pochi istanti Riccardo si accorse che Francesca fissava
il televisore, con espressione preoccupata ma totalmente decisa.
“Vedi Ricky, quella scatola magica, è uno dei principali
problemi. La televisione è regolarmente collocata in ogni abitazione, bar, ovunque,
e c’invia ossessivamente i messaggi/causa della nostra psicopatologia
commerciale... La televisione è il nuovo maestro, se Edmondo De Amicis fosse
vissuto nella nostra epoca, avrebbe di certo descritto il rapporto tra un
ragazzo ed un televisore ultrasottile, piazzato sulla parete angolare di un
salotto Ikea.”
“Dunque non più la famiglia e la scuola”, disse Riccardo osservando
un manifesto di Janis Joplin, “ma proprio la televisione come principale
agenzia educativa...”
Brano tratto da "Eclissi", di Vincenzo M. D'Ascanio
Nessun commento:
Posta un commento