mercoledì 3 giugno 2015

Il campeggio.




Il cancello del campeggio era spalancato, così Accio l’oltrepassò, naturalmente sgommando in retromarcia. Da una catapecchia giunse un ragazzo dalla cresta verde, avvertendolo che il parcheggio si trovava all’esterno, in uno spiazzo appositamente riservato. Mentre pronunciava questa frase il ragazzo si sbracciava ed agitava, come se stesse cercando di stabilire un ponte comunicativo con dei militari sordomuti ed autistici. Eseguite le disposizioni i ragazzi ritornarono all’ingresso, dunque ci furono le presentazioni di rito. Il nome del parcheggiatore era Scandal, o almeno così diceva di chiamarsi. Entrambi i lobi erano colmi di stravaganti orecchini, e sulle braccia portava dei tatuaggi, tra cui risaltava quello di un autorevole mostro marino.

“Seguitemi”, disse, “vi mostro il campeggio. Di dove siete?”
“Veniamo da varie zone della Sardegna”, rispose Francesca, “Riccardo e Floriana sono di Carbonia, io di un paese vicino, mentre gli altri arrivano dal campidano...”
“Io, invece, sono originario del Marghine, ma vivo a Cagliari da più di dieci anni. Bhè, diciamo, vivo è una parolona... Si tratta del mio punto di appoggio quando ritorno dai viaggi. In questi ultimi mesi ho vissuto in una comune non lontana da San Francisco, sono rientrato solo per il campeggio.”

Mentre Scandal faceva stralunati discorsi sulla libertà individuale, Riccardo si guardò intorno. Tutti gli edifici avevano un aspetto massiccio, e talvolta erano nascosti da imponenti querce. Tuttavia furono i ragazzi presenti a catturare maggiormente la sua attenzione. Riccardo non nutriva pregiudizi verso alcuna pettinatura o stile, nonostante lui vestisse in maniera impeccabile, in sintonia con una robusta cappa di mentalità consumista. In quel calderone umano, invece, risaltavano bizzarri abbigliamenti, appariscenti acconciature, mille ed improbabili orecchini, catene, catenine e medaglioni, inattesi tatuaggi. Ragazzi dai capelli rossi, gialli o verdi sembravano pappagalli esotici scappati clamorosamente da un circo. C’era chi indossava pantaloni larghi oppure stretti, alcuni erano vestiti da motociclisti, altri mostrano con orgoglio il petto, privi di magliette ma colmi di piercing e tatuaggi. Se qualcuno avesse deciso di passeggiare col pene in bella mostra, sarebbe stato pacificamente accettato, senza rimostranze di sorta. In alcune zone del bosco bivaccavano individui che ridevano, scherzavano ed assumevano atteggiamenti fuori dal comune. In uno di questi assembramenti un ragazzo si esprimeva con ardite giravolte, mentre gli altri lo applaudivano ridendo ed incitandolo. Accanto ad una quercia una ragazza faceva roteare dei birilli, mentre uno scalmanato correva con una carriola, su cui era accovacciato un vecchio che sbraitava ed ostentava una bottiglia contenente forse liquore.

“Non preoccupatevi, quello è il vecchio Tobias”, disse Scandal, “un tedesco arrivato sin qui chissà come. L’hanno ripescato da un canale di scolo non distante dal campeggio, completamente ubriaco e mezzo nudo. Nessuno sa da dove venga, del resto, non lo sa nemmeno lui... Comunque sia, in breve tempo è diventato un’istituzione del campo.”
Scandal presentò alcuni ragazzi, che sembravano provenire dai più malfamati gironi dell’Inferno. Uno di loro urlò senza motivo che non credeva in niente: in sostanza si trattava di un nichilista. Infine giunse il momento di Claudia, una bella ragazza con un tatuaggio di Marcos sulla spalla destra. Aveva i capelli scuri e legati in una lunga treccia, pantaloni larghi ed una maglietta calcistica del Brasile, stretta ai fianchi ed in parte stracciata. Il tatuaggio di Marcos era solo uno dei tanti, infatti, nell’altro braccio, spiccava un’apocalittica frase di Chomsky. Riccardo la guardò con particolare trasporto e Francesca, attenta ad ogni particolare, gli assestò una vigorosa gomitata sullo sterno.
“Aia”, si lamentò il ragazzo con lo sguardo rivolto al cielo, come se attendesse la caduta di un angelo. Francesca gli lanciò un’occhiataccia più rovente di un lanciafiamme bulgaro.
“Bene ragazzi”, disse Claudia dopo essersi presentata, “vi propongo un tour nel campeggio, così vi farete un’idea delle nostre attività e, magari, scegliere quelle più adatte alle vostre inclinazioni. Nessuno è ovviamente costretto a prendervi parte, chi non vuole partecipare può restare nella piazza e fare ciò che desidera, come gli altri ragazzi che vedete a spasso. Tuttavia, se posso permettermi, vi consiglierei di fare della pratica. Il lavoro dura tre, al massimo quattro ore, avete il resto della giornata per godervi la natura, fare conoscenze e divertirvi.”

L’idea piacque alla comitiva, Tony, in particolare, era soddisfatto come se si trovasse sul cubo di una sontuosa discoteca della riviera adriatica... Gli edifici complessivamente erano cinque, ed all’interno di essi si svolgevano diverse attività. Le strutture non erano particolarmente curate, più che altro si trattava di cameroni, che potevano contenere una cinquantina di persone. Un tempo erano stati i dormitori dell’ex colonia penale, ora erano utilizzati come luoghi di elaborazione creativa: se vogliamo, un interessante cambiamento di prospettiva.
“In questo edificio”, indicò Claudia, “si svolge un’attività in cui crediamo fortemente, quella del riciclaggio. Recuperiamo oggetti come barattoli, bottiglie ed altri utensili per essere poi lavorati, e dunque trasformati in prodotti riutilizzabili. Per esempio, osservate questa libreria, è un piccolo capolavoro, realizzata con del compensato e con barattoli di cibo per cani. Tutto materiale recuperato, ormai considerato inutile dalla società dei consumi...”

Riccardo si avvicinò alla libreria, con l’umore di chi avesse appena ascoltato la confessione del padre in merito alla propria omosessualità. Sulle prime non riusciva a notare nulla di particolarmente interessante, ma osservando con attenzione ne apprezzò la struttura. I barattoli erano stati spogliati da qualsiasi etichetta, ed ora risplendevano alla luce del sole. Sui piani di compensato, verniciati di arancione, erano stati sistemati alcuni oggetti, come un vaso ricavato da un vecchio contenitore di plastica, ed alcune bottiglie colorate. L’idea, in effetti, aveva un suo senso: restituire utilità ad oggetti scartati, magari con nuove funzioni rispetto a quelle originarie. Riccardo pensò alla montagna di spazzatura, vista soltanto quella mattina nella periferia della città. Non sarebbe stato acceso nessun rogo, e non sarebbero serviti costosi smaltimenti: ruolo centrale avrebbe avuto semplicemente la fantasia, la manualità, e con poche risorse oggetti apparentemente inutili potevano essere riadoperati.
Il ragazzo meditò sulle abitudini della famiglia, capace di scartare qualsiasi apparecchio, senza nemmeno provare a ripararlo. Per alcuni televisori sarebbe bastato l’intervento di un tecnico, magari per un oggetto rotto un po’ di colla, oppure nastro adesivo. Tuttavia pretendere una riparazione da suo padre, era come attendersi un bacio della bandiera britannica da parte di un militante dell’IRA. Questi erano i capisaldi del consumismo: acquistare, sbarazzarsi dei prodotti, acquistare di nuovo, inaugurando così una catena causa/effetto senza fine.

Dopo aver visitato il primo laboratorio, tutti erano già sorpresi dalla meticolosa organizzazione. Soltanto Accio non sembrava particolarmente entusiasta, per via di convinzioni strettamente personali, estremiste e naturalmente sconvolgenti.
“Qui assistiamo alla smilitarizzazione del catorcio” commentò infastidito, “ciò che più mi auguro è contemplare il rottame di un’automobile, abbandonata sul ciglio verdeggiante della carreggiata. Accidenti a voi, sapete cosa vi dico? Soltanto immagini come queste mi emozionano, altro che tramonti, od anziani che si tengono per mano! Spesso ho fotografato quelle splendide carcasse, sarebbe un peccato sprecarle per farne chissà cosa, meglio lasciarle alla loro statica bellezza!”
“Per te hanno un significato, non è vero?” Domandò incuriosita Floriana.
“Significato?” Rispose Accio toccandosi il cavallo dei pantaloni, “non so, mi eccitano!”
Come? Una carcassa sul ciglio della strada, ti eccita?”
A questo punto Accio si voltò mostrando i denti marci, dunque fece alcuni passi zoppicando, puntando il dito verso Floriana.
“Bella, ognuno si eccita come crede, nel vostro mondo accelerato non comprenderete mai il mio messaggio. Si tratta di un telegramma scritto col sangue della ribellione e spedito direttamente dall’Inferno! Con le mie donne riesco a raggiungere l’orgasmo, solo se mi trovo all’interno di un rottame. Durante lunghe ore al laboratorio ho elaborato tutte le conferme scientifiche del caso!”
Nessuno osò commentare le farneticazioni di Accio, che poco dopo mosse freneticamente le mani verso il cielo, come a voler indicare la possibile traiettoria di satelliti televisivi. Claudia azzardò un impercettibile sorriso, e Francesca sussurrò delle parole, che potevano sembrare una preghiera. Nel frattempo, mentre camminavano tra gli edifici, Claudia indicò un fitto bosco di querce.

“Ecco, quello è il luogo dove sistemerete le tende. Conclusa la visita vi consiglio di organizzarvi, sono rimasti pochi spazi liberi, proprio dietro quel caseggiato...”

Vincenzo M. D'Ascanio, brano tratto dal romanzo "Eclissi".

Accio al volante...




Il furgone di Accio era lo stesso utilizzato per il trasloco di Drago, ossia un residuato bellico degli anni settanta. Nella parte posteriore erano stati risistemati i sedili, ora c’era posto per tutti ed anche qualcuno in più. Su alcuni finestrini erano state appese delle inquietanti tendine, dove erano riprodotti un teschio ed una ghigliottina grondante sangue. Sul parafango anteriore era stata collocata una struttura in acciaio, ed ora il furgone somigliava ad una locomotiva da guerra.

Accio diede gas al motore e rientrò in corsia senza badare al sopraggiungere di altre macchine, come se volesse inaugurare il viaggio con un incidente. Nelle strade della città la sua guida era allarmante, per non dire criminale. Teneva sfrontatamente il volante con una mano, mentre con l’altra si massaggiava generosamente i genitali. Ai semafori frenava sempre all’ultimo momento, come se intendesse verificare l’affidabilità dei freni. Evitò l’impatto con numerose macchine solo all’ultimo istante, e dava gas come se stesse partecipando ad un gran premio riservato a psicopatici e masochisti. Francesca e Tony non sembravano preoccupati, il secondo parlava tranquillamente al cellulare con un collega d’ufficio, mentre Francesca guardava dal finestrino come se nulla fosse. Riccardo, invece, grondava copiosamente sudore: era l’autentica maschera della paura. Dopo pochi minuti decise di chiudere gli occhi, e soltanto allo stridere dei freni li riaprì. Erano finalmente arrivati dinanzi alla casa di Floriana, un palazzaccio nell’umida via S. Giovanni. Accio si sporse dal finestrino urlando il nome della ragazza e questa, mezzo nuda, si affacciò alla finestra dicendo di attendere un attimo.

“Accidenti, dopo dobbiamo andare in quel merdaio del quartiere di Drago”, disse Accio battendo il pugno sul volante, “spero almeno che sia pronto, altrimenti salgo su, sfondo la porta e lo lancio dalla finestra. Francesca, prepara la macchina fotografica, tra quei palazzi ci sono delle opere d’arte che non possiamo ignorare!”
Dopo pochi minuti arrivò Floriana, con un viso truccato da prostituta colombiana. La notte precedente aveva partecipato ad una notte delle sue, non chiudendo occhio sino alle sei del mattino. Portava uno zaino su cui erano raffigurati decine di fiori e cuori, e qualche frase di Jim Morrison e del maresciallo Argiolas. Quando si sedette fece un lungo sbadiglio, e li guardò come se stesse osservando una marmaglia di operai in sciopero.
“Accidenti, ma dovevamo partire così presto?
Accio si voltò di scatto, con gli occhi carichi di rancore.
“Wè, bella, stai scherzando? Perché se stai scherzando, devi dirlo!”
“Bhè, no”, rispose intimorita, “mi sembra un tantino presto!”
“Dobbiamo arrivare massimo a mezzogiorno”, disse Francesca, “altrimenti ci considereranno dei perditempo. Questa non è una gita di piacere, sia ben chiaro e tutti...”
“E teniamo pronta la macchina fotografica. Chissà, magari lungo la strada becchiamo un incidente automobilistico con qualche variante complessa, non possiamo farcelo sfuggire.” Pronunciata questa sciagurata frase Accio partì sgommando, e per poco non investì un’anziana con le buste della spesa. Dopo aver percorso qualche chilometro a velocità sostenuta, si fermò dinanzi al condominio di Drago. Questo aspettava sulla porta, come una sentinella serba disposta a mitragliare qualsiasi kosovaro nei dintorni. Con sé aveva una borsa sportiva logora e piuttosto sporca, la mise nel bagagliaio e salì con tutto il suo carico di miseria.
Cosa ti è successo”, domandò Tony, “sei stato risucchiato e sputato da una pianta carnivora?”
“Lasciamo perdere”, rispose Drago, “sono rimasto sveglio sino alle sei, nell’appartamento di sopra è scoppiata una mega rissa, non ho chiuso occhio per tutta la notte!”
“Ogni tanto qualche sberla è il modo migliore per chiarire le cose. La violenza scarica i nervi, e tonifica lo spirito!” Evidenziò Accio, mentre partiva sgommando.
In breve attraversarono il traffico immettendosi rapidamente sulla statale, destinazione Barbagia. Mentre guidava Accio era in uno stato di trance, di tanto in tanto avvicinava il suo grosso inguine al volante, come se quella posizione, per un bizzarro motivo, lo eccitasse all’inverosimile. Inoltre era solito sbandare, ed urlava bestemmie immotivate agli automobilisti che incrociavano.
“Ei bello, non starai esagerando?” Domandò Francesca, per altro calmissima.
“No!” Gli rispose Accio urlando, “determinate traiettorie sono troppo invitanti!”

Dopo aver percorso una cinquantina di chilometri decise di fermarsi in aperta campagna, per una breve pausa ristoratrice, per riprendere il controllo sui nervi e soprattutto per fumare una canna. A qualche metro di distanza c’era un laghetto, sulle cui sponde Drago e Floriana trovarono il luogo ideale per alterare la loro psiche. Quando ritornarono Drago camminava piegato e con le braccia in avanti: sembrava uno scimmione scappato da un circo. Floriana, invece, aveva un atteggiamento preoccupato, come se dei militanti dell’Isis la tenessero sotto tiro, preparati a trapanarle il cervello od al massimo mozzarle il capo.
“Signori”, disse Tony col suo immancabile linguaggio forbito, “dobbiamo far uso della massima prudenza. Se incappiamo in un posto di blocco e perquisiscono la borsa di Floriana, ci spediscono in villeggiatura nelle patrie galere. Personalmente perderò il lavoro, e forse la salute mentale. Vi sembrerò eccessivamente zelante e me ne scuso, ma la cosa non mi garba affatto...”
In effetti, quella borsa era ricca di materiale interessante. Marijuana, altre droghe leggere, mescalina, anfetamine, morfina e poi, calmanti, rilassanti, eccitanti, quattro bottiglie di vodka, tre litri di rum, un bidone contenente dieci di litri di vino, una bottiglia di alcol puro. Le intenzioni di Floriana non erano cattive, ma si era lasciata chiaramente prendere la mano.
“Scusate ragazzi”, disse la stessa Floriana, “ogni volta che parto per un viaggio, non riesco a calcolare con esattezza le quantità...”
“Siamo con te Floriana, in questi casi è meglio abbondare. Poi... Non è detto che ci fermino, e sopratutto non è detto che ci perquisiscano.”
“Accidenti a te, Accio”, lo ammonì Francesca, “punti sempre tutto sul tuo vago ottimismo. Ma ti sei guardato allo specchio? Sembri uno psicopatico appena fuggito da una cella di massima sicurezza. Quando ci fermeranno non solo ci perquisiranno, ma ci arresteranno direttamente, senza nemmeno controllare la borsa di Flò.”
“Allora datemi la possibilità di percorrere vie alternative, così eviteremo i posti di blocco...”
“A me sembra una buona idea” disse Floriana in stato confusionale, “facciamo come dice Accio...”
Dopo un parapiglia generale fu raggiunto un accordo, ma non sapevano a cosa andavano incontro. Quando risalirono sul furgone Accio fece una spericolata manovra ad “U”, dunque procedette per un sentiero sterrato, su cui poteva transitare solo una macchina per altro sfiorandone i bordi, talvolta confinanti con spaventosi precipizi.
“Bene”, commentò Accio rilassato, “qui posti di blocco non ne troveremo. Il sentiero termina proprio accanto al cavalcavia, ma dopo ne inizia subito un altro. Possiamo arrivare in prossimità del campeggio senza passare per la provinciale, anche se la strada ci frullerà un po’! State comunque tranquilli... Questo furgone farebbe invidia ad un panzer tedesco, il mese scorso l’ho utilizzato per sfondare un camper, non corriamo alcun pericolo!”

Riccardo maledì il momento in cui aveva deciso di partecipare a quel viaggio, mentre Accio percorreva ad alta velocità il sentiero che costeggiava il fiume. Viaggiando su una serie di strade sterrate, attraversate solo da greggi guardinghe e mucche spaventate, arrivarono sino al confine della Barbagia. Un tratto di strada doveva essere percorso sulla provinciale, perché parte del sentiero era stato spazzato via da un’alluvione. La sua guida divenne meno sfrontata, da bestia impazzita Accio si trasformò in docile agnellino. Potrebbe apparire strano, ma anche lui era immerso nella contemplazione di quei fitti boschi, delle rocce bianche tinte dal muschio e dalla vista di lontani poderi, abbarbicati sulle rocce come falchi sorveglianti il territorio.

Dopo aver avuto il cuore in gola per tutto il viaggio Riccardo si rilassò, soddisfatto per la più calma andatura. Tutti ammiravano in silenzio quel magnifico bosco, composto da querce secolari e sugheri dal tronco sinuoso come un’ammaliante danzatrice orientale. Dopo qualche metro apparve il cartello indicante la località del campeggio. Erano finalmente arrivati, ora dovevano solo conoscere le persone con cui avrebbero condiviso quei cinque giorni primaverili. Mentre percorreva l’ultimo tratto di strada Accio cominciò a muovere rapidamente le spalle, e grazie allo specchietto retrovisore Riccardo notò che il suo volto mutava rapidamente espressione, come se attraverso ogni singola smorfia volesse custodire un’immagine di quanto vedeva. Le sue stesse sopracciglia sfregiate, il suo naso e gli zigomi erano scossi da tremiti forse dettati dall’entusiasmo, tuttavia Riccardo promise a se stesso che non avrebbe mai più partecipato ad un viaggio con Accio al volante.

Vincenzo M. D'Ascanio, tratto dal romanzo "Eclissi"