mercoledì 3 giugno 2015

Verso nuove destinazioni.




Quando salirono sul furgone, Accio afferrò con rabbia immotivata una sacca che tintinnava. Dopo averla sistemata tra le gambe, cominciò a muovere le mani verso il cielo, come se intendesse interrogare gli astri a proposito della bontà della sua azione.
“Qui c’è tutto l’alcool che volete” disse sprezzante, “ed ora rollo anche qualche canna. Vedrete, arriveremo a quella festa in condizioni pietose.” Tony/Barcellona aprì con prontezza il borsone: in effetti, all’interno c’erano numerose birre, limoncello, vodka, acqua vite, mirto ed addirittura una bottiglia di alcol puro. C’erano anche dei succhi di frutta, subito affidati a Floriana con gesti rapidi e precisi. Sembravano un gruppo di mercenari, che si passavano le armi prima dell’assalto decisivo. Riccardo aveva appena assunto i farmaci del “dopo cena”, e decise saggiamente di non bere. Si sentiva come un mercante ebreo del settecento, cui avessero proibito il commercio ed i traffici con un’ordinanza del doge. Anche Francesca decise di non bere, perché quella sera aveva un leggero dolore allo stomaco. Gli altri, invece, cominciarono a tracannare come forsennati, come un gruppo di ammutinati che avevano appena scalzato il loro temibile comandante. 

Nel frattempo Silvestro li seguiva a distanza, col viso quasi attaccato al parabrezza come se gli mancassero cinque o sei diottrie. Guidava una vecchia Alfa Sud procurata chissà come, ed aveva applicato due lunghe antenne sul paraurti anteriore, da cui spiccavano una bandiera britannica ed una dei reparti sudisti, risalente alla guerra civile americana. Forse le stesse antenne gli servivano per ricevere delle frequenze ad altri inaccessibili, ma queste davano all’auto le sembianze di un enorme insetto. Nel frattempo Drago stava perdendo ogni controllo: inaspettatamente si sedette sul bordo del finestrino, e cominciò ad urlare parole insensate e talvolta oscene, come se nel suo corpo fosse subentrato uno spirito malefico, capace di parlare latino, greco, aramaico e volgare fiorentino. Riccardo rimase sopraffatto da quella condotta, anche perché Drago manteneva sempre un buon selfcontrol, anche nei momenti di assoluto caos mentale. Invece Tony, Francesca e Floriana non smettevano di ridere: sarebbe bastata una brusca frenata per scaraventare Drago sull’asfalto. Infatti, dopo qualche minuto, giunse un ordine perentorio da parte di Accio.
“Barcellona, tienilo con tutta la forza che hai, sto per eseguire una brusca virata...”

Ormai Accio parlava come l’agguerrito commodoro di un vascello inglese, gli mancava solo il copricapo, la sciabola e gli schizzi delle onde sul viso. Il muscoloso braccio di Tony giunse sino alla cintura di Drago, che fu trattenuto vigorosamente per i pantaloni. Accio svoltò di scatto a destra, senza per altro ridurre la velocità. In sostanza Drago stava volando: aveva le braccia tese in avanti, come un eroe anni cinquanta, disposto a planare sulla città per scovare possibili malfattori. Se non ci fosse stato Tony a trattenerlo, sarebbe stato catapultato nel mezzo della spinosa macchia mediterranea. Accio aveva “virato” verso una strada in terra battuta, sempre per evitare possibili posti di blocco. Mentre la percorrevano erano sballottati da una parte all’altra del veicolo, mentre ad intervalli regolari Riccardo sbatteva violentemente la testa nel tettuccio della vettura. Il sentiero passava attraverso uno splendido bosco: le querce si ergevano improvvise alla luce dei fari, e talvolta si potevano notare delle rapide lepri, che cercavano riparo nella fitta vegetazione. La luna piena, alta nel cielo, pareva un enorme faro destinato all’illuminazione di un piazzale carcerario. Le pietre bianche si levavano dalla foresta come sepolcri, adatti ad ospitare vittime di leggendarie guerre tribali. I contorni degli alberi destavano un certo timore, come scheletrici mostri pronti ad arrampicarsi ostinatamente verso il cielo stellato. Mentre osservava quel paesaggio, Riccardo si sentì come un bambino, ricordando quando trascorreva le estati in campeggio, e talvolta doveva confrontarsi con i silenzi e le mute figure del bosco.

“Datemi due cartine, altrimenti come faccio?” Questa frase, pronunciata da Tony/Barcellona col suo marcato accento cagliaritano, distolse Riccardo da qualsiasi pensiero. Il muscoloso ballerino della notte aveva la mano sinistra aperta, come se stesse attendendo il posarsi di un’ostia consacrata. Dopo qualche secondo Floriana gli diede quanto richiesto, e Tony le unì per formare un’ imponente cicca artigianale, di cui tutti si domandavano l’oscuro contenuto.
“Questa roba non l’avete mai vista”, commentò soddisfatto Accio, “niente a che fare con le vostre insulse porcherie. E’ stata prodotta nel mio laboratorio personale, può essere inalato, fumato e persino ingerito. E’ composta al cento per cento da elementi naturali, niente sostanze chimiche, potete stare tranquilli. L’effetto è destinato al rilassamento ed all’aumento esponenziale delle percezioni. Vedrete, vi lascerà a bocca aperta, probabilmente ho sfiorato il mio apice.”
Riccardo non nutriva grande fiducia in Accio, troppi atteggiamenti gli erano sembrati bizzarri o semplicemente pazzeschi. Tuttavia quando vide Francesca fumare, anche lui decise di tranquillizzarsi e provare. Francesca non era una stupida: Riccardo si fidava di lei come una donna gravida si fida del proprio ginecologo. Accolse tra le mani quell’intruglio come se stesse afferrando un cacciavite, dunque lo sperimentò con tutta la solennità del caso. Inizialmente non ci fu alcun effetto ma, trascorsi pochi minuti, la testa cominciò a danzargli al ritmo di tamburi giamaicani. Ora visualizzava solo il furgone attraversare il bosco e di tanto in tanto, ai lati, comparivano strane figure silenziose ed artefatte. Non disse nulla per non essere ridicolizzato, anche se tutti sembravano preda di personali allucinazioni. All’interno del furgone persisteva una dura cappa di silenzio, ciascuno era irrimediabilmente perso nelle rispettive illusioni. Per due volte Accio frenò sterzando bruscamente, come se cercasse di evitare, od investire, un pedone. Da parte sua Floriana sporse la testa dal finestrino, e cominciò a salutare un immaginario saggio della foresta, seduto dinanzi ad un ruscello, intento a pescare ed elaborare parabole molto sagge.

“Ei, nonno, vieni anche tu alla festa? Sì? Bene, allora ci vediamo, fatti accompagnare dalla nonna, ha perso tutta la memoria!” Floriana aveva sognato suo nonno, morto diversi anni prima, ed aveva scordato dove si trovava. Riccardo la osservò per alcuni secondi, e la vide vestita come una tipica donna anziana dell’interno, ossia gonna lunga, camicia e fazzoletto nero legato al capo. Nel frattempo Tony aveva assunto il ruolo del suo alter ego, Barcellona, così cominciò a muoversi a ritmo di musica, immaginando di trovarsi sul cubo di una famosa discoteca del litorale adriatico. Era probabilmente convinto d’indossare piume ed abiti attillati, magari vaneggiava su un folto pubblico che lo acclamava, mentre imitava tanto i suoi passi quanto le sue giravolte. Nell’oscurità del furgone s’intravedevano le sue braccia muscolose, che si muovevano come serpenti ipnotizzati da una schiera di flauti. Di tanto in tanto Accio si voltava a guardarlo, ma sulle sue labbra sfregiate non c’era l’accenno di un sorriso: per lui le movenze di Tony erano terribilmente serie, e forse avevano un loro oscuro significato, come un misterioso codice babilonese da decifrare. Drago, intanto, giaceva semisvenuto con parte del corpo ancora all’esterno del finestrino: se fosse incappato su un ramo sporgente, questo gli avrebbe sfregiato buona parte del viso. Francesca, invece, era immobile e fissava il vuoto, ostaggio di chissà quali visioni. Forse intravedeva immagini della sua infanzia, quando attendeva che la madre concludesse il suo turno di lavoro. Riccardo, invece, teneva la mano sinistra sul suo occhio destro, e continuava a vedere Elisa in tutti gli angoli del bosco: sul sentiero, accovacciata sulle rocce, sui rami degli alberi, addirittura fluttuante a mezz’aria. Ad intervalli compariva suo padre che armeggiava con bizzarri apparecchi elettronici, ghignando come un alienato mentale privato delle sue medicine.

“America, ecco l’America!” Urlò Drago, come un immigrato italiano calabrese nei primi del novecento. Dopo qualche secondo anche gli altri videro le luci del paese, inaugurando una conversazione che avrebbe interessato qualsiasi studioso della psiche umana. Il paese era situato su una collina, e le periferie sembravano sospese nell’aria, pronte a spiccare il volo verso sconosciute costellazioni. Accio cominciò a fregarsi le mani come il perfido delle fiabe, mentre gli altri persistevano nel loro chiacchiericcio, che intanto diventava sempre più fitto ed incomprensibile. Nel frattempo Drago ritornò all’interno del furgone, che percorreva a folle velocità il letto asciutto di un torrente. Quando cominciò una salita in cemento, tutti pensarono di trovarsi su un pericoloso sentiero di montagna. Accanto alla strada, tanto a destra quanto a sinistra, spiccavano vigne, frutteti e campi coltivati. Non mancavano gli uliveti, che illuminati dalla luna parevano una fedele rappresentazione del Getsemani. Tutt’intorno dominava una serena solitudine, anche se le luci del paese, e le stesse case, s’intravedevano con sempre maggior chiarezza. Inaspettatamente terminarono l’impervia salita, e dopo aver percorso pochi chilometri si ritrovarono nella periferia del paese. Ciò aveva un significato: Accio non aveva guidato in preda a chissà quali visioni, il sentiero appena percorso era senz'altro una scorciatoia.

Vincenzo M. D'Ascanio, brano tratto dal romanzo "Eclissi"

La festa del paese.




“Venite in fretta, qui danno il vino a secchiate!” disse intanto con strani gesti Silvestro.
“Il vino, oh, quello disintegra, fidatevi di me, lo conosco bene...” Rispose secco Accio.
Intanto la temperatura assumeva eccezionali cambiamenti: un vento caldo proveniva da continenti lontani, tanto che qualcuno passeggiava con maglietta a maniche corte ed infradito. Nelle viuzze si era formato un vespaio di persone, tutti tenevano un bicchiere oppure una bottiglia, qualche gruppetto intonava una canzone, altri urlavano frasi sconnesse ed illogiche, giocavano alla “murra”, s’abbracciavano, litigavano nelle cantine allestite per l’occasione. Qualcuno si amava focosamente negli angoli bui, e se sorpresi non mostravano nessun pudore, anzi, sembrava quasi che la situazione li eccitasse ulteriormente... La comitiva si sentiva a proprio agio, il vino aveva un sapore robusto ma non troppo forte, non era quel genere di vino che sembra strozzarti quando ne bevi un sorso. Nonostante ciò l’alcol fece il suo lavoro soprattutto su Riccardo, che mescolando alcolici e farmaci concepiva un imprudente attentato al suo fegato. Intanto Silvestro non smetteva di sbracciarsi, come se intendesse discutere di filosofia del diritto con ogni passante. Si muoveva ondeggiando sapientemente le anche, come una bagnarola persa tra le onde nei mari del Nord. La sua figura intrigava particolarmente Riccardo, che non poté fare a meno di rivolgergli qualche domanda.

“Senti, Silvestro”, gli disse, “ma ora cosa fai nella vita?”
“L’impiegato... E studio.” Rispose lui tutto pimpante.
“Sei un ricercatore?”
“No, mi piace definirmi un semplice studente...”
“Ah! In quale facoltà sei iscritto?”
“In nessuna, studio per conto mio. Storia Medievale.”
“Storia medievale, cavolo, affascinante! Ma per vivere?”
“Dai, ci sono milioni e milioni di varianti per il vivere moderno. Per altro sono ancora impiegato in quella dannata provincia, ma mi adatto a qualsiasi mansione. Del resto, se tutti studiassimo per vivere, cosa accadrebbe?” Per un attimo Silvestro rimase in silenzio, come se stesse pensando al modo migliore per annullare un’ipoteca gravante sulla propria abitazione.
“Conosci Kant?” Disse improvvisamente. “Era un vero e proprio imbecille, ma un uomo degno di quel nome può porsi soltanto un obiettivo: l’immensità. Bene o male lui l’ha raggiunta, si dica quel che si vuole. Poi, dimostrare che si tratta dell’ideologo del Partito Nazista, sono un altro paio di maniche...”
“Tu, quindi, aspiri all’immensità?”
“No, non ne ho il diritto. Non sono un genio. Aspiro a fare ciò che mi piace, e mi basta...”
“Dici nulla... Non so se avrò il coraggio necessario...”
“Trovalo, trovalo immediatamente! In ballo c’è la tua vita!” Detto questo Silvestro non aggiunse altro, e fece una linguaccia al suo sbigottito interlocutore.

Naturale, le parole di Silvestro potevano avere un senso, ma quella sera Riccardo non era nelle condizioni per sviluppare alcun pensiero compiuto. Tra un bicchiere e l’altro si ritrovarono a ballare in una graziosa piazza esagonale, uno di quei tipici balli di gruppo che dominano le feste nei paesi sardi. Numerose persone ballavano con loro, tutti sorridevano, tutti eravamo resi più socievoli dal vino e dalla musica. Riccardo e Francesca, lentamente, cominciarono a ballare da soli, come due cortigiani indifferenti alle pretese del sovrano. Lei si accostava sempre più sfrontatamente, così Riccardo percepì il suo corpo sinuoso, e la situazione non gli dispiaceva. Dopo alcuni movimenti del bacino il ragazzo le propose una passeggiata, e Francesca accettò con un sorriso lieve ma complice. Camminavano per le strade colme di avinazzati senza cognizione del tempo, si tenevano per mano, si guardavamo negli occhi, di tanto in tanto si accarezzavano le labbra. Lei indossava un vestito corto e colorato, degli zoccoli prestati da Floriana, ed una leggera collana composta da minute conchiglie di molteplici colori.
“Andiamo là!” Disse Francesca prendendo Riccardo per mano.
“Dove? No, ma tu lo sai...”
 “Non ti fidi di me?”
“Come no?” Balbettò il ragazzo, “mi fido, certo che mi fido...”
Francesca lo fece sedere sul pianerottolo di una vecchia abitazione, dunque restò in piedi dinanzi a lui accarezzandogli viso e capelli. Tutt’intorno erano presenti palazzi antichi o fatiscenti, sembrava quasi di trovarsi a Sarajevo dopo una tenace rappresaglia serba. Per qualche istante Riccardo non disse una parola, guardò Francesca e non poté fare a meno di baciarla, sentendo indistintamente il sapore del vino e del tabacco “Virginia”, la sua marca preferita. Continuarono a baciarsi per qualche minuto, come due modelli di una foto di Bresson. Riccardo, infine, ebbe la bella idea di sollevarle la gonna, ma Francesca non aveva le sue stesse idee.
“Ei, carino, guarda che siamo tra le case, leva quella manina!”
“Ah, si scusa, non mi ero accorto...”
“Certo, la mano della famiglia Addams!”
“Sì, sì, lo so, ma non è semplice come pensi tu...”
La ragazza rise e gli accarezzò nuovamente i capelli, come se stesse rassicurando un bambino sin troppo trascurato. Francesca era una ragazza comprensiva ed affettuosa, per lei era naturale dimostrarlo in qualsiasi occasione. Era una sua dote innata, ed in particolare con Riccardo era ancora più premurosa del necessario, forse perché conosceva le sue dolorose esperienze.
“Francè, poco fa ho parlato con Silvestro...”
“Sì? Che ti ha detto quello sciagurato?”
“Non so, ha fatto tutto un discorso... Mi ha detto che studia Storia Medievale, senza motivo, insomma, perché lo rende felice. Mi ha ripetuto quelle storie su Kant ma questa volta non ho capito molto... Cioè, detto in due parole, a suo parere ognuno deve fare ciò che gli piace!”
“Mi sembra giusto”, rispose lei mentre premendogli un dito sulle labbra, “in effetti, non è tanto scemo, questo Silvestro.”
“Ti sembra una posizione corretta? Ma non si rischia di buttare la propria vita?”
“Sì, certo, ma di errori ne commetterai comunque, indipendentemente dalla strada scelta. Del resto, in questa vita si può anche fallire, non vedo questa grande tragedia. Non farti abbindolare dai miti del nostro tempo, non è necessario essere dei vincenti, o diventare delle persone importanti, se così le vogliamo chiamare... Un individuo, qualsiasi individuo, deve fare ciò che desidera, se vuole dare valore alla sua esistenza. Puoi fare il muratore, lo scienziato, il giocatore di dadi, lo spazzino, il poeta o l’avvocato, insomma, tutto ciò che potresti immaginare. E’ fondamentale concentrarsi su qualcosa che ti permetta di essere in sintonia con te stesso, il resto sono tutte chiacchiere...”
“Sì, ma non posso vivere studiando le battaglie dei saraceni o la caccia alle streghe, cioè, stiamo parlando del vivere quotidiano...” Francesca, udita questa frase, rise portandosi la mano alla bocca, come solitamente faceva in queste situazioni.
“A volte ti comporti come un bambino... E’ naturale, una persona deve anche adattarsi, ma finché può, ha il dovere di tentarci in ogni modo! O, se non altro, ritagliarsi il tempo per farlo. Tanti scrittori, scienziati, filosofi o poeti hanno condotto una vita piena di ostacoli, svolto lavori che odiavano anche per decenni, prima di raggiungere il loro obiettivo. Per esempio, considera Kafka, ha fatto l’impiegato per tutta la vita, Bukowski, invece, prima di diventare uno scrittore affermato, era un alcolizzato che viveva di espedienti. Alcuni sono diventati famosi soltanto dopo la loro morte, tanti hanno vissuto nell’anonimato, eppure hanno insistito per raggiungere il loro sogno, sino all’ultimo respiro...”
Francesca strinse gli occhi, per poi declinare leggermente la testa sulla sua destra.
“Io non l’ho mica capito cosa ti piace fare... Hai sempre la testa tra le nuvole!”
“A me piaci tu...”
“Ah Ah! Sei uno sconvolto! Dai, andiamo, prima che arrivi il padrone di questa casa e ci prenda a calci. Te la fa vedere lui la battaglia con i saraceni...”
Quando tornarono nella strada principale, con sorpresa notarono una gran confusione. Non sarebbe stato semplice trovare gli altri, in mezzo a quell’allegro caos di anime festose. Francesca prese la mano di Riccardo e gliela strinse, dunque si voltò e lo abbracciò nella marea che passava.

“Anche tu mi piaci, mi piaci tantissimo, non dimenticarlo mai!” Sussurrò all’orecchio del ragazzo, stringendolo forte a sé. Riccardo si sentì come non si sentiva da molto tempo, era come se si fosse appena salvato da un mostro alato venuto dall’Inferno. Abbracciò Francesca e si lasciò inebriare dal suo profumo, infine la guardò nella profondità dei suoi grandi occhi verdi. Avrebbe voluto dirle qualcosa, ma le parole gli morivano in gola. Nel suo intimo era come se fosse detonata una mina, un’emozione in grado di sconvolgergli la mente... Chissà, forse si stava innamorando, probabilmente lo era già. Non avrebbe mai immaginato di poter riprovare quelle emozioni, dopo il disastroso rapporto con Elisa. Francesca, invece, lo aveva resuscitato, ed ora lui si sentiva come un Lazzaro dei nostri giorni, risorto e preparato ad affrontare qualsiasi Caifa. Chi mai avrebbe potuto prevederlo? A distanza di pochi mesi, e dopo aver attraversato un tunnel tenebroso, poteva ancora sperare, soprattutto vantava dei diritti d’autore sull’amore. Forse il dolore era un percorso di sola andata? Per un istante, per un frangente di secondo, gli venne l’irresistibile voglia di urlare, ma nonostante la confusione ed il chiasso decise di non farlo.

In seguito i due andarono incontro alla festa, con lo stato d’animo di chi si avvia ad un circo gestito da una combriccola di dementi. La folla era caotica, Riccardo non si sarebbe mai aspettato una simile bolgia in un paesino tra le montagne della Barbagia. Non aveva mai amato quel genere di serate, ed in passato aveva sempre cercato di evitarli. Invece, proprio quella sera, tra urla, abbracci ed imprecazioni, si sentiva del tutto a suo agio. Un ambulante gesticolava rapidamente con le dita, come se volesse acchiappare le stelle per poi rivenderle ad un prezzo speciale. Questo gesticolare convulso sorprese Riccardo, che decise di acquistare una quantità spropositata di caramelle. Quando infine giunsero alla piazza, ebbero difficoltà a farsi largo tra la folla, perché la calca era diventata addirittura insostenibile. Individuato un varco, videro Tony, Silvestro e Floriana che ballavano al ritmo incalzante della musica. Francesca andò nella loro direzione, con il suo vestito a motivi floreali che risaltava splendidamente nel caos di corpi. Naturalmente trascinò con sé Riccardo, che persisteva a tenere la mano nella busta delle caramelle, come se fosse parzialmente monco e non intendesse darlo a vedere.
“Frà, rallenta, io non so ballare!”
“Nemmeno io, tu muoviti e non pensarci!”
“Muovermi? Non pensarci? Per la miseria, sembrerò un invasato!”
Dopo aver dislocato a destra ed a manca la bustina delle caramelle Riccardo prese la mano di Floriana, che ballava in un modo che non aveva nulla a che vedere col ritmo della fisarmonica. Tony/Barcellona, invece, era essenzialmente perfetto, neanche un piccolo movimento era lasciato all’improvvisazione. Silvestro e Francesca muovevano rapidamente le gambe, non eseguivano i passi corretti ma nessuno poteva notarli. Allora anche Riccardo decise d’improvvisare, si sentiva un po’ come il contabile di un’agenzia finanziaria con i conti totalmente in disordine, ma decise di non ascoltare quelle sensazioni. Mosse le gambe cercando di sgombrare il cervello, ora era importante sentire la mano di Francesca, perdersi nel suo sorriso e sentire il proprio corpo muoversi accanto al suo.

Nel frattempo Accio attendava accanto ad una botte, ed un ragazzo dal viso butterato gli versava del vino rosso in un grande calice di vetro. Dopo ogni bicchiere il ragazzo muoveva rapidamente le spalle, come se con quei rapidi movimenti invitasse Accio ad un’ulteriore assaggio. Da parte sua, Accio mostrava le sue cicatrici con disinvoltura, e col cellulare mostrava delle foto. Più tardi Riccardo seppe che in quel cellulare erano contenuti filmati di risse ed incidenti stradali, ma soprattutto rapporti sessuali consumati dallo stesso Accio con alcune prostitute dell’hinterland cagliaritano. Le aveva filmate con una micro camera nascosta nel cruscotto, ed ora era ben fiero di rivelare le sue prestazioni sessuali a chiunque gli capitasse a tiro. La cicatrice sul labbro superiore era ostentata come un vessillo di guerra, e fendeva l’aria come una Cadillac lanciata verso l’ignoto.

La comitiva continuò a divertirsi per un po’, Riccardo e Francesca avevano le labbra imbrattate di caramelle, e di tanto in tanto si scambiavano un bacio. Silvestro incalzava spudoratamente Floriana, che comunque non disdegnava quel curioso figuro. In determinati frangenti Silvestro faceva mulinare all’indietro le braccia, forse allestendo una danza amorosa per la sua bella. Ad ogni modo verso l’una furono costretti ad andare, anche perché alle due i cancelli del campeggio sarebbero stati chiusi. Tutti erano dispiaciuti perché la festa si stava animando, ma Tony non poté fare a meno di chiamare Accio, per avvisarlo della necessità di partire.

Vincenzo M. D'Ascanio, brano tratto dal romanzo "Eclissi"

Il campeggio.




Il cancello del campeggio era spalancato, così Accio l’oltrepassò, naturalmente sgommando in retromarcia. Da una catapecchia giunse un ragazzo dalla cresta verde, avvertendolo che il parcheggio si trovava all’esterno, in uno spiazzo appositamente riservato. Mentre pronunciava questa frase il ragazzo si sbracciava ed agitava, come se stesse cercando di stabilire un ponte comunicativo con dei militari sordomuti ed autistici. Eseguite le disposizioni i ragazzi ritornarono all’ingresso, dunque ci furono le presentazioni di rito. Il nome del parcheggiatore era Scandal, o almeno così diceva di chiamarsi. Entrambi i lobi erano colmi di stravaganti orecchini, e sulle braccia portava dei tatuaggi, tra cui risaltava quello di un autorevole mostro marino.

“Seguitemi”, disse, “vi mostro il campeggio. Di dove siete?”
“Veniamo da varie zone della Sardegna”, rispose Francesca, “Riccardo e Floriana sono di Carbonia, io di un paese vicino, mentre gli altri arrivano dal campidano...”
“Io, invece, sono originario del Marghine, ma vivo a Cagliari da più di dieci anni. Bhè, diciamo, vivo è una parolona... Si tratta del mio punto di appoggio quando ritorno dai viaggi. In questi ultimi mesi ho vissuto in una comune non lontana da San Francisco, sono rientrato solo per il campeggio.”

Mentre Scandal faceva stralunati discorsi sulla libertà individuale, Riccardo si guardò intorno. Tutti gli edifici avevano un aspetto massiccio, e talvolta erano nascosti da imponenti querce. Tuttavia furono i ragazzi presenti a catturare maggiormente la sua attenzione. Riccardo non nutriva pregiudizi verso alcuna pettinatura o stile, nonostante lui vestisse in maniera impeccabile, in sintonia con una robusta cappa di mentalità consumista. In quel calderone umano, invece, risaltavano bizzarri abbigliamenti, appariscenti acconciature, mille ed improbabili orecchini, catene, catenine e medaglioni, inattesi tatuaggi. Ragazzi dai capelli rossi, gialli o verdi sembravano pappagalli esotici scappati clamorosamente da un circo. C’era chi indossava pantaloni larghi oppure stretti, alcuni erano vestiti da motociclisti, altri mostrano con orgoglio il petto, privi di magliette ma colmi di piercing e tatuaggi. Se qualcuno avesse deciso di passeggiare col pene in bella mostra, sarebbe stato pacificamente accettato, senza rimostranze di sorta. In alcune zone del bosco bivaccavano individui che ridevano, scherzavano ed assumevano atteggiamenti fuori dal comune. In uno di questi assembramenti un ragazzo si esprimeva con ardite giravolte, mentre gli altri lo applaudivano ridendo ed incitandolo. Accanto ad una quercia una ragazza faceva roteare dei birilli, mentre uno scalmanato correva con una carriola, su cui era accovacciato un vecchio che sbraitava ed ostentava una bottiglia contenente forse liquore.

“Non preoccupatevi, quello è il vecchio Tobias”, disse Scandal, “un tedesco arrivato sin qui chissà come. L’hanno ripescato da un canale di scolo non distante dal campeggio, completamente ubriaco e mezzo nudo. Nessuno sa da dove venga, del resto, non lo sa nemmeno lui... Comunque sia, in breve tempo è diventato un’istituzione del campo.”
Scandal presentò alcuni ragazzi, che sembravano provenire dai più malfamati gironi dell’Inferno. Uno di loro urlò senza motivo che non credeva in niente: in sostanza si trattava di un nichilista. Infine giunse il momento di Claudia, una bella ragazza con un tatuaggio di Marcos sulla spalla destra. Aveva i capelli scuri e legati in una lunga treccia, pantaloni larghi ed una maglietta calcistica del Brasile, stretta ai fianchi ed in parte stracciata. Il tatuaggio di Marcos era solo uno dei tanti, infatti, nell’altro braccio, spiccava un’apocalittica frase di Chomsky. Riccardo la guardò con particolare trasporto e Francesca, attenta ad ogni particolare, gli assestò una vigorosa gomitata sullo sterno.
“Aia”, si lamentò il ragazzo con lo sguardo rivolto al cielo, come se attendesse la caduta di un angelo. Francesca gli lanciò un’occhiataccia più rovente di un lanciafiamme bulgaro.
“Bene ragazzi”, disse Claudia dopo essersi presentata, “vi propongo un tour nel campeggio, così vi farete un’idea delle nostre attività e, magari, scegliere quelle più adatte alle vostre inclinazioni. Nessuno è ovviamente costretto a prendervi parte, chi non vuole partecipare può restare nella piazza e fare ciò che desidera, come gli altri ragazzi che vedete a spasso. Tuttavia, se posso permettermi, vi consiglierei di fare della pratica. Il lavoro dura tre, al massimo quattro ore, avete il resto della giornata per godervi la natura, fare conoscenze e divertirvi.”

L’idea piacque alla comitiva, Tony, in particolare, era soddisfatto come se si trovasse sul cubo di una sontuosa discoteca della riviera adriatica... Gli edifici complessivamente erano cinque, ed all’interno di essi si svolgevano diverse attività. Le strutture non erano particolarmente curate, più che altro si trattava di cameroni, che potevano contenere una cinquantina di persone. Un tempo erano stati i dormitori dell’ex colonia penale, ora erano utilizzati come luoghi di elaborazione creativa: se vogliamo, un interessante cambiamento di prospettiva.
“In questo edificio”, indicò Claudia, “si svolge un’attività in cui crediamo fortemente, quella del riciclaggio. Recuperiamo oggetti come barattoli, bottiglie ed altri utensili per essere poi lavorati, e dunque trasformati in prodotti riutilizzabili. Per esempio, osservate questa libreria, è un piccolo capolavoro, realizzata con del compensato e con barattoli di cibo per cani. Tutto materiale recuperato, ormai considerato inutile dalla società dei consumi...”

Riccardo si avvicinò alla libreria, con l’umore di chi avesse appena ascoltato la confessione del padre in merito alla propria omosessualità. Sulle prime non riusciva a notare nulla di particolarmente interessante, ma osservando con attenzione ne apprezzò la struttura. I barattoli erano stati spogliati da qualsiasi etichetta, ed ora risplendevano alla luce del sole. Sui piani di compensato, verniciati di arancione, erano stati sistemati alcuni oggetti, come un vaso ricavato da un vecchio contenitore di plastica, ed alcune bottiglie colorate. L’idea, in effetti, aveva un suo senso: restituire utilità ad oggetti scartati, magari con nuove funzioni rispetto a quelle originarie. Riccardo pensò alla montagna di spazzatura, vista soltanto quella mattina nella periferia della città. Non sarebbe stato acceso nessun rogo, e non sarebbero serviti costosi smaltimenti: ruolo centrale avrebbe avuto semplicemente la fantasia, la manualità, e con poche risorse oggetti apparentemente inutili potevano essere riadoperati.
Il ragazzo meditò sulle abitudini della famiglia, capace di scartare qualsiasi apparecchio, senza nemmeno provare a ripararlo. Per alcuni televisori sarebbe bastato l’intervento di un tecnico, magari per un oggetto rotto un po’ di colla, oppure nastro adesivo. Tuttavia pretendere una riparazione da suo padre, era come attendersi un bacio della bandiera britannica da parte di un militante dell’IRA. Questi erano i capisaldi del consumismo: acquistare, sbarazzarsi dei prodotti, acquistare di nuovo, inaugurando così una catena causa/effetto senza fine.

Dopo aver visitato il primo laboratorio, tutti erano già sorpresi dalla meticolosa organizzazione. Soltanto Accio non sembrava particolarmente entusiasta, per via di convinzioni strettamente personali, estremiste e naturalmente sconvolgenti.
“Qui assistiamo alla smilitarizzazione del catorcio” commentò infastidito, “ciò che più mi auguro è contemplare il rottame di un’automobile, abbandonata sul ciglio verdeggiante della carreggiata. Accidenti a voi, sapete cosa vi dico? Soltanto immagini come queste mi emozionano, altro che tramonti, od anziani che si tengono per mano! Spesso ho fotografato quelle splendide carcasse, sarebbe un peccato sprecarle per farne chissà cosa, meglio lasciarle alla loro statica bellezza!”
“Per te hanno un significato, non è vero?” Domandò incuriosita Floriana.
“Significato?” Rispose Accio toccandosi il cavallo dei pantaloni, “non so, mi eccitano!”
Come? Una carcassa sul ciglio della strada, ti eccita?”
A questo punto Accio si voltò mostrando i denti marci, dunque fece alcuni passi zoppicando, puntando il dito verso Floriana.
“Bella, ognuno si eccita come crede, nel vostro mondo accelerato non comprenderete mai il mio messaggio. Si tratta di un telegramma scritto col sangue della ribellione e spedito direttamente dall’Inferno! Con le mie donne riesco a raggiungere l’orgasmo, solo se mi trovo all’interno di un rottame. Durante lunghe ore al laboratorio ho elaborato tutte le conferme scientifiche del caso!”
Nessuno osò commentare le farneticazioni di Accio, che poco dopo mosse freneticamente le mani verso il cielo, come a voler indicare la possibile traiettoria di satelliti televisivi. Claudia azzardò un impercettibile sorriso, e Francesca sussurrò delle parole, che potevano sembrare una preghiera. Nel frattempo, mentre camminavano tra gli edifici, Claudia indicò un fitto bosco di querce.

“Ecco, quello è il luogo dove sistemerete le tende. Conclusa la visita vi consiglio di organizzarvi, sono rimasti pochi spazi liberi, proprio dietro quel caseggiato...”

Vincenzo M. D'Ascanio, brano tratto dal romanzo "Eclissi".

Accio al volante...




Il furgone di Accio era lo stesso utilizzato per il trasloco di Drago, ossia un residuato bellico degli anni settanta. Nella parte posteriore erano stati risistemati i sedili, ora c’era posto per tutti ed anche qualcuno in più. Su alcuni finestrini erano state appese delle inquietanti tendine, dove erano riprodotti un teschio ed una ghigliottina grondante sangue. Sul parafango anteriore era stata collocata una struttura in acciaio, ed ora il furgone somigliava ad una locomotiva da guerra.

Accio diede gas al motore e rientrò in corsia senza badare al sopraggiungere di altre macchine, come se volesse inaugurare il viaggio con un incidente. Nelle strade della città la sua guida era allarmante, per non dire criminale. Teneva sfrontatamente il volante con una mano, mentre con l’altra si massaggiava generosamente i genitali. Ai semafori frenava sempre all’ultimo momento, come se intendesse verificare l’affidabilità dei freni. Evitò l’impatto con numerose macchine solo all’ultimo istante, e dava gas come se stesse partecipando ad un gran premio riservato a psicopatici e masochisti. Francesca e Tony non sembravano preoccupati, il secondo parlava tranquillamente al cellulare con un collega d’ufficio, mentre Francesca guardava dal finestrino come se nulla fosse. Riccardo, invece, grondava copiosamente sudore: era l’autentica maschera della paura. Dopo pochi minuti decise di chiudere gli occhi, e soltanto allo stridere dei freni li riaprì. Erano finalmente arrivati dinanzi alla casa di Floriana, un palazzaccio nell’umida via S. Giovanni. Accio si sporse dal finestrino urlando il nome della ragazza e questa, mezzo nuda, si affacciò alla finestra dicendo di attendere un attimo.

“Accidenti, dopo dobbiamo andare in quel merdaio del quartiere di Drago”, disse Accio battendo il pugno sul volante, “spero almeno che sia pronto, altrimenti salgo su, sfondo la porta e lo lancio dalla finestra. Francesca, prepara la macchina fotografica, tra quei palazzi ci sono delle opere d’arte che non possiamo ignorare!”
Dopo pochi minuti arrivò Floriana, con un viso truccato da prostituta colombiana. La notte precedente aveva partecipato ad una notte delle sue, non chiudendo occhio sino alle sei del mattino. Portava uno zaino su cui erano raffigurati decine di fiori e cuori, e qualche frase di Jim Morrison e del maresciallo Argiolas. Quando si sedette fece un lungo sbadiglio, e li guardò come se stesse osservando una marmaglia di operai in sciopero.
“Accidenti, ma dovevamo partire così presto?
Accio si voltò di scatto, con gli occhi carichi di rancore.
“Wè, bella, stai scherzando? Perché se stai scherzando, devi dirlo!”
“Bhè, no”, rispose intimorita, “mi sembra un tantino presto!”
“Dobbiamo arrivare massimo a mezzogiorno”, disse Francesca, “altrimenti ci considereranno dei perditempo. Questa non è una gita di piacere, sia ben chiaro e tutti...”
“E teniamo pronta la macchina fotografica. Chissà, magari lungo la strada becchiamo un incidente automobilistico con qualche variante complessa, non possiamo farcelo sfuggire.” Pronunciata questa sciagurata frase Accio partì sgommando, e per poco non investì un’anziana con le buste della spesa. Dopo aver percorso qualche chilometro a velocità sostenuta, si fermò dinanzi al condominio di Drago. Questo aspettava sulla porta, come una sentinella serba disposta a mitragliare qualsiasi kosovaro nei dintorni. Con sé aveva una borsa sportiva logora e piuttosto sporca, la mise nel bagagliaio e salì con tutto il suo carico di miseria.
Cosa ti è successo”, domandò Tony, “sei stato risucchiato e sputato da una pianta carnivora?”
“Lasciamo perdere”, rispose Drago, “sono rimasto sveglio sino alle sei, nell’appartamento di sopra è scoppiata una mega rissa, non ho chiuso occhio per tutta la notte!”
“Ogni tanto qualche sberla è il modo migliore per chiarire le cose. La violenza scarica i nervi, e tonifica lo spirito!” Evidenziò Accio, mentre partiva sgommando.
In breve attraversarono il traffico immettendosi rapidamente sulla statale, destinazione Barbagia. Mentre guidava Accio era in uno stato di trance, di tanto in tanto avvicinava il suo grosso inguine al volante, come se quella posizione, per un bizzarro motivo, lo eccitasse all’inverosimile. Inoltre era solito sbandare, ed urlava bestemmie immotivate agli automobilisti che incrociavano.
“Ei bello, non starai esagerando?” Domandò Francesca, per altro calmissima.
“No!” Gli rispose Accio urlando, “determinate traiettorie sono troppo invitanti!”

Dopo aver percorso una cinquantina di chilometri decise di fermarsi in aperta campagna, per una breve pausa ristoratrice, per riprendere il controllo sui nervi e soprattutto per fumare una canna. A qualche metro di distanza c’era un laghetto, sulle cui sponde Drago e Floriana trovarono il luogo ideale per alterare la loro psiche. Quando ritornarono Drago camminava piegato e con le braccia in avanti: sembrava uno scimmione scappato da un circo. Floriana, invece, aveva un atteggiamento preoccupato, come se dei militanti dell’Isis la tenessero sotto tiro, preparati a trapanarle il cervello od al massimo mozzarle il capo.
“Signori”, disse Tony col suo immancabile linguaggio forbito, “dobbiamo far uso della massima prudenza. Se incappiamo in un posto di blocco e perquisiscono la borsa di Floriana, ci spediscono in villeggiatura nelle patrie galere. Personalmente perderò il lavoro, e forse la salute mentale. Vi sembrerò eccessivamente zelante e me ne scuso, ma la cosa non mi garba affatto...”
In effetti, quella borsa era ricca di materiale interessante. Marijuana, altre droghe leggere, mescalina, anfetamine, morfina e poi, calmanti, rilassanti, eccitanti, quattro bottiglie di vodka, tre litri di rum, un bidone contenente dieci di litri di vino, una bottiglia di alcol puro. Le intenzioni di Floriana non erano cattive, ma si era lasciata chiaramente prendere la mano.
“Scusate ragazzi”, disse la stessa Floriana, “ogni volta che parto per un viaggio, non riesco a calcolare con esattezza le quantità...”
“Siamo con te Floriana, in questi casi è meglio abbondare. Poi... Non è detto che ci fermino, e sopratutto non è detto che ci perquisiscano.”
“Accidenti a te, Accio”, lo ammonì Francesca, “punti sempre tutto sul tuo vago ottimismo. Ma ti sei guardato allo specchio? Sembri uno psicopatico appena fuggito da una cella di massima sicurezza. Quando ci fermeranno non solo ci perquisiranno, ma ci arresteranno direttamente, senza nemmeno controllare la borsa di Flò.”
“Allora datemi la possibilità di percorrere vie alternative, così eviteremo i posti di blocco...”
“A me sembra una buona idea” disse Floriana in stato confusionale, “facciamo come dice Accio...”
Dopo un parapiglia generale fu raggiunto un accordo, ma non sapevano a cosa andavano incontro. Quando risalirono sul furgone Accio fece una spericolata manovra ad “U”, dunque procedette per un sentiero sterrato, su cui poteva transitare solo una macchina per altro sfiorandone i bordi, talvolta confinanti con spaventosi precipizi.
“Bene”, commentò Accio rilassato, “qui posti di blocco non ne troveremo. Il sentiero termina proprio accanto al cavalcavia, ma dopo ne inizia subito un altro. Possiamo arrivare in prossimità del campeggio senza passare per la provinciale, anche se la strada ci frullerà un po’! State comunque tranquilli... Questo furgone farebbe invidia ad un panzer tedesco, il mese scorso l’ho utilizzato per sfondare un camper, non corriamo alcun pericolo!”

Riccardo maledì il momento in cui aveva deciso di partecipare a quel viaggio, mentre Accio percorreva ad alta velocità il sentiero che costeggiava il fiume. Viaggiando su una serie di strade sterrate, attraversate solo da greggi guardinghe e mucche spaventate, arrivarono sino al confine della Barbagia. Un tratto di strada doveva essere percorso sulla provinciale, perché parte del sentiero era stato spazzato via da un’alluvione. La sua guida divenne meno sfrontata, da bestia impazzita Accio si trasformò in docile agnellino. Potrebbe apparire strano, ma anche lui era immerso nella contemplazione di quei fitti boschi, delle rocce bianche tinte dal muschio e dalla vista di lontani poderi, abbarbicati sulle rocce come falchi sorveglianti il territorio.

Dopo aver avuto il cuore in gola per tutto il viaggio Riccardo si rilassò, soddisfatto per la più calma andatura. Tutti ammiravano in silenzio quel magnifico bosco, composto da querce secolari e sugheri dal tronco sinuoso come un’ammaliante danzatrice orientale. Dopo qualche metro apparve il cartello indicante la località del campeggio. Erano finalmente arrivati, ora dovevano solo conoscere le persone con cui avrebbero condiviso quei cinque giorni primaverili. Mentre percorreva l’ultimo tratto di strada Accio cominciò a muovere rapidamente le spalle, e grazie allo specchietto retrovisore Riccardo notò che il suo volto mutava rapidamente espressione, come se attraverso ogni singola smorfia volesse custodire un’immagine di quanto vedeva. Le sue stesse sopracciglia sfregiate, il suo naso e gli zigomi erano scossi da tremiti forse dettati dall’entusiasmo, tuttavia Riccardo promise a se stesso che non avrebbe mai più partecipato ad un viaggio con Accio al volante.

Vincenzo M. D'Ascanio, tratto dal romanzo "Eclissi"