Quando salirono sul furgone, Accio afferrò con rabbia
immotivata una sacca che tintinnava. Dopo averla sistemata tra le gambe,
cominciò a muovere le mani verso il cielo, come se intendesse interrogare gli
astri a proposito della bontà della sua azione.
“Qui c’è tutto l’alcool che volete” disse sprezzante, “ed ora
rollo anche qualche canna. Vedrete, arriveremo a quella festa in condizioni pietose.”
Tony/Barcellona aprì con prontezza il borsone: in effetti, all’interno c’erano numerose
birre, limoncello, vodka, acqua vite, mirto ed addirittura una bottiglia di
alcol puro. C’erano anche dei succhi di frutta, subito affidati a Floriana con
gesti rapidi e precisi. Sembravano un gruppo di mercenari, che si passavano le
armi prima dell’assalto decisivo. Riccardo aveva appena assunto i farmaci del
“dopo cena”, e decise saggiamente di non bere. Si sentiva come un mercante
ebreo del settecento, cui avessero proibito il commercio ed i traffici con
un’ordinanza del doge. Anche Francesca decise di non bere, perché quella sera aveva
un leggero dolore allo stomaco. Gli altri, invece, cominciarono a tracannare
come forsennati, come un gruppo di ammutinati che avevano appena scalzato il
loro temibile comandante.
Nel frattempo Silvestro li seguiva a distanza, col
viso quasi attaccato al parabrezza come se gli mancassero cinque o sei diottrie.
Guidava una vecchia Alfa Sud procurata chissà come, ed aveva applicato due lunghe
antenne sul paraurti anteriore, da cui spiccavano una bandiera britannica ed
una dei reparti sudisti, risalente alla guerra civile americana. Forse le
stesse antenne gli servivano per ricevere delle frequenze ad altri
inaccessibili, ma queste davano all’auto le sembianze di un enorme insetto. Nel
frattempo Drago stava perdendo ogni controllo: inaspettatamente si sedette sul
bordo del finestrino, e cominciò ad urlare parole insensate e talvolta oscene,
come se nel suo corpo fosse subentrato uno spirito malefico, capace di parlare
latino, greco, aramaico e volgare fiorentino. Riccardo rimase sopraffatto da
quella condotta, anche perché Drago manteneva sempre un buon selfcontrol, anche
nei momenti di assoluto caos mentale. Invece Tony, Francesca e Floriana non
smettevano di ridere: sarebbe bastata una brusca frenata per scaraventare Drago
sull’asfalto. Infatti, dopo qualche minuto, giunse un ordine perentorio da
parte di Accio.
“Barcellona, tienilo con tutta la forza che hai, sto per eseguire
una brusca virata...”
Ormai Accio parlava come l’agguerrito commodoro di un
vascello inglese, gli mancava solo il copricapo, la sciabola e gli schizzi
delle onde sul viso. Il muscoloso braccio di Tony giunse sino alla cintura di Drago,
che fu trattenuto vigorosamente per i pantaloni. Accio svoltò di scatto a
destra, senza per altro ridurre la velocità. In sostanza Drago stava volando:
aveva le braccia tese in avanti, come un eroe anni cinquanta, disposto a
planare sulla città per scovare possibili malfattori. Se non ci fosse stato
Tony a trattenerlo, sarebbe stato catapultato nel mezzo della spinosa macchia mediterranea.
Accio aveva “virato” verso una strada in terra battuta, sempre per evitare
possibili posti di blocco. Mentre la percorrevano erano sballottati da una
parte all’altra del veicolo, mentre ad intervalli regolari Riccardo sbatteva
violentemente la testa nel tettuccio della vettura. Il sentiero passava
attraverso uno splendido bosco: le querce si ergevano improvvise alla luce dei
fari, e talvolta si potevano notare delle rapide lepri, che cercavano riparo
nella fitta vegetazione. La luna piena, alta nel cielo, pareva un enorme faro destinato
all’illuminazione di un piazzale carcerario. Le pietre bianche si levavano
dalla foresta come sepolcri, adatti ad ospitare vittime di leggendarie guerre
tribali. I contorni degli alberi destavano un certo timore, come scheletrici
mostri pronti ad arrampicarsi ostinatamente verso il cielo stellato. Mentre
osservava quel paesaggio, Riccardo si sentì come un bambino, ricordando quando
trascorreva le estati in campeggio, e talvolta doveva confrontarsi con i
silenzi e le mute figure del bosco.
“Datemi due cartine, altrimenti come faccio?” Questa frase,
pronunciata da Tony/Barcellona col suo marcato accento cagliaritano, distolse
Riccardo da qualsiasi pensiero. Il muscoloso ballerino della notte aveva la
mano sinistra aperta, come se stesse attendendo il posarsi di un’ostia consacrata.
Dopo qualche secondo Floriana gli diede quanto richiesto, e Tony le unì per
formare un’ imponente cicca artigianale, di cui tutti si domandavano l’oscuro
contenuto.
“Questa roba non l’avete mai vista”, commentò soddisfatto Accio,
“niente a che fare con le vostre insulse porcherie. E’ stata prodotta nel mio
laboratorio personale, può essere inalato, fumato e persino ingerito. E’
composta al cento per cento da elementi naturali, niente sostanze chimiche,
potete stare tranquilli. L’effetto è destinato al rilassamento ed all’aumento
esponenziale delle percezioni. Vedrete, vi lascerà a bocca aperta, probabilmente
ho sfiorato il mio apice.”
Riccardo non nutriva grande fiducia in Accio, troppi
atteggiamenti gli erano sembrati bizzarri o semplicemente pazzeschi. Tuttavia
quando vide Francesca fumare, anche lui decise di tranquillizzarsi e provare.
Francesca non era una stupida: Riccardo si fidava di lei come una donna gravida
si fida del proprio ginecologo. Accolse tra le mani quell’intruglio come se
stesse afferrando un cacciavite, dunque lo sperimentò con tutta la solennità del
caso. Inizialmente non ci fu alcun effetto ma, trascorsi pochi minuti, la testa
cominciò a danzargli al ritmo di tamburi giamaicani. Ora visualizzava solo il
furgone attraversare il bosco e di tanto in tanto, ai lati, comparivano strane
figure silenziose ed artefatte. Non disse nulla per non essere ridicolizzato,
anche se tutti sembravano preda di personali allucinazioni. All’interno del
furgone persisteva una dura cappa di silenzio, ciascuno era irrimediabilmente
perso nelle rispettive illusioni. Per due volte Accio frenò sterzando bruscamente,
come se cercasse di evitare, od investire, un pedone. Da parte sua Floriana
sporse la testa dal finestrino, e cominciò a salutare un immaginario saggio
della foresta, seduto dinanzi ad un ruscello, intento a pescare ed elaborare parabole
molto sagge.
“Ei, nonno, vieni anche tu alla festa? Sì? Bene, allora ci
vediamo, fatti accompagnare dalla nonna, ha perso tutta la memoria!” Floriana aveva
sognato suo nonno, morto diversi anni prima, ed aveva scordato dove si trovava.
Riccardo la osservò per alcuni secondi, e la vide vestita come una tipica donna
anziana dell’interno, ossia gonna lunga, camicia e fazzoletto nero legato al
capo. Nel frattempo Tony aveva assunto il ruolo del suo alter ego, Barcellona,
così cominciò a muoversi a ritmo di musica, immaginando di trovarsi sul cubo di
una famosa discoteca del litorale adriatico. Era probabilmente convinto d’indossare
piume ed abiti attillati, magari vaneggiava su un folto pubblico che lo acclamava,
mentre imitava tanto i suoi passi quanto le sue giravolte. Nell’oscurità del
furgone s’intravedevano le sue braccia muscolose, che si muovevano come
serpenti ipnotizzati da una schiera di flauti. Di tanto in tanto Accio si
voltava a guardarlo, ma sulle sue labbra sfregiate non c’era l’accenno di un
sorriso: per lui le movenze di Tony erano terribilmente serie, e forse avevano
un loro oscuro significato, come un misterioso codice babilonese da decifrare. Drago,
intanto, giaceva semisvenuto con parte del corpo ancora all’esterno del
finestrino: se fosse incappato su un ramo sporgente, questo gli avrebbe sfregiato
buona parte del viso. Francesca, invece, era immobile e fissava il vuoto,
ostaggio di chissà quali visioni. Forse intravedeva immagini della sua
infanzia, quando attendeva che la madre concludesse il suo turno di lavoro. Riccardo,
invece, teneva la mano sinistra sul suo occhio destro, e continuava a vedere
Elisa in tutti gli angoli del bosco: sul sentiero, accovacciata sulle rocce, sui
rami degli alberi, addirittura fluttuante a mezz’aria. Ad intervalli compariva
suo padre che armeggiava con bizzarri apparecchi elettronici, ghignando come un
alienato mentale privato delle sue medicine.
“America, ecco l’America!” Urlò Drago, come un immigrato
italiano calabrese nei primi del novecento. Dopo qualche secondo anche gli
altri videro le luci del paese, inaugurando una conversazione che avrebbe interessato
qualsiasi studioso della psiche umana. Il paese era situato su una collina, e
le periferie sembravano sospese nell’aria, pronte a spiccare il volo verso
sconosciute costellazioni. Accio cominciò a fregarsi le mani come il perfido
delle fiabe, mentre gli altri persistevano nel loro chiacchiericcio, che
intanto diventava sempre più fitto ed incomprensibile. Nel frattempo Drago
ritornò all’interno del furgone, che percorreva a folle velocità il letto
asciutto di un torrente. Quando cominciò una salita in cemento, tutti pensarono
di trovarsi su un pericoloso sentiero di montagna. Accanto alla strada, tanto a
destra quanto a sinistra, spiccavano vigne, frutteti e campi coltivati. Non
mancavano gli uliveti, che illuminati dalla luna parevano una fedele
rappresentazione del Getsemani. Tutt’intorno dominava una serena solitudine,
anche se le luci del paese, e le stesse case, s’intravedevano con sempre
maggior chiarezza. Inaspettatamente terminarono l’impervia salita, e dopo aver
percorso pochi chilometri si ritrovarono nella periferia del paese. Ciò aveva
un significato: Accio non aveva guidato in preda a chissà quali visioni, il
sentiero appena percorso era senz'altro una scorciatoia.
Vincenzo M. D'Ascanio, brano tratto dal romanzo "Eclissi"
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