mercoledì 3 giugno 2015

Verso nuove destinazioni.




Quando salirono sul furgone, Accio afferrò con rabbia immotivata una sacca che tintinnava. Dopo averla sistemata tra le gambe, cominciò a muovere le mani verso il cielo, come se intendesse interrogare gli astri a proposito della bontà della sua azione.
“Qui c’è tutto l’alcool che volete” disse sprezzante, “ed ora rollo anche qualche canna. Vedrete, arriveremo a quella festa in condizioni pietose.” Tony/Barcellona aprì con prontezza il borsone: in effetti, all’interno c’erano numerose birre, limoncello, vodka, acqua vite, mirto ed addirittura una bottiglia di alcol puro. C’erano anche dei succhi di frutta, subito affidati a Floriana con gesti rapidi e precisi. Sembravano un gruppo di mercenari, che si passavano le armi prima dell’assalto decisivo. Riccardo aveva appena assunto i farmaci del “dopo cena”, e decise saggiamente di non bere. Si sentiva come un mercante ebreo del settecento, cui avessero proibito il commercio ed i traffici con un’ordinanza del doge. Anche Francesca decise di non bere, perché quella sera aveva un leggero dolore allo stomaco. Gli altri, invece, cominciarono a tracannare come forsennati, come un gruppo di ammutinati che avevano appena scalzato il loro temibile comandante. 

Nel frattempo Silvestro li seguiva a distanza, col viso quasi attaccato al parabrezza come se gli mancassero cinque o sei diottrie. Guidava una vecchia Alfa Sud procurata chissà come, ed aveva applicato due lunghe antenne sul paraurti anteriore, da cui spiccavano una bandiera britannica ed una dei reparti sudisti, risalente alla guerra civile americana. Forse le stesse antenne gli servivano per ricevere delle frequenze ad altri inaccessibili, ma queste davano all’auto le sembianze di un enorme insetto. Nel frattempo Drago stava perdendo ogni controllo: inaspettatamente si sedette sul bordo del finestrino, e cominciò ad urlare parole insensate e talvolta oscene, come se nel suo corpo fosse subentrato uno spirito malefico, capace di parlare latino, greco, aramaico e volgare fiorentino. Riccardo rimase sopraffatto da quella condotta, anche perché Drago manteneva sempre un buon selfcontrol, anche nei momenti di assoluto caos mentale. Invece Tony, Francesca e Floriana non smettevano di ridere: sarebbe bastata una brusca frenata per scaraventare Drago sull’asfalto. Infatti, dopo qualche minuto, giunse un ordine perentorio da parte di Accio.
“Barcellona, tienilo con tutta la forza che hai, sto per eseguire una brusca virata...”

Ormai Accio parlava come l’agguerrito commodoro di un vascello inglese, gli mancava solo il copricapo, la sciabola e gli schizzi delle onde sul viso. Il muscoloso braccio di Tony giunse sino alla cintura di Drago, che fu trattenuto vigorosamente per i pantaloni. Accio svoltò di scatto a destra, senza per altro ridurre la velocità. In sostanza Drago stava volando: aveva le braccia tese in avanti, come un eroe anni cinquanta, disposto a planare sulla città per scovare possibili malfattori. Se non ci fosse stato Tony a trattenerlo, sarebbe stato catapultato nel mezzo della spinosa macchia mediterranea. Accio aveva “virato” verso una strada in terra battuta, sempre per evitare possibili posti di blocco. Mentre la percorrevano erano sballottati da una parte all’altra del veicolo, mentre ad intervalli regolari Riccardo sbatteva violentemente la testa nel tettuccio della vettura. Il sentiero passava attraverso uno splendido bosco: le querce si ergevano improvvise alla luce dei fari, e talvolta si potevano notare delle rapide lepri, che cercavano riparo nella fitta vegetazione. La luna piena, alta nel cielo, pareva un enorme faro destinato all’illuminazione di un piazzale carcerario. Le pietre bianche si levavano dalla foresta come sepolcri, adatti ad ospitare vittime di leggendarie guerre tribali. I contorni degli alberi destavano un certo timore, come scheletrici mostri pronti ad arrampicarsi ostinatamente verso il cielo stellato. Mentre osservava quel paesaggio, Riccardo si sentì come un bambino, ricordando quando trascorreva le estati in campeggio, e talvolta doveva confrontarsi con i silenzi e le mute figure del bosco.

“Datemi due cartine, altrimenti come faccio?” Questa frase, pronunciata da Tony/Barcellona col suo marcato accento cagliaritano, distolse Riccardo da qualsiasi pensiero. Il muscoloso ballerino della notte aveva la mano sinistra aperta, come se stesse attendendo il posarsi di un’ostia consacrata. Dopo qualche secondo Floriana gli diede quanto richiesto, e Tony le unì per formare un’ imponente cicca artigianale, di cui tutti si domandavano l’oscuro contenuto.
“Questa roba non l’avete mai vista”, commentò soddisfatto Accio, “niente a che fare con le vostre insulse porcherie. E’ stata prodotta nel mio laboratorio personale, può essere inalato, fumato e persino ingerito. E’ composta al cento per cento da elementi naturali, niente sostanze chimiche, potete stare tranquilli. L’effetto è destinato al rilassamento ed all’aumento esponenziale delle percezioni. Vedrete, vi lascerà a bocca aperta, probabilmente ho sfiorato il mio apice.”
Riccardo non nutriva grande fiducia in Accio, troppi atteggiamenti gli erano sembrati bizzarri o semplicemente pazzeschi. Tuttavia quando vide Francesca fumare, anche lui decise di tranquillizzarsi e provare. Francesca non era una stupida: Riccardo si fidava di lei come una donna gravida si fida del proprio ginecologo. Accolse tra le mani quell’intruglio come se stesse afferrando un cacciavite, dunque lo sperimentò con tutta la solennità del caso. Inizialmente non ci fu alcun effetto ma, trascorsi pochi minuti, la testa cominciò a danzargli al ritmo di tamburi giamaicani. Ora visualizzava solo il furgone attraversare il bosco e di tanto in tanto, ai lati, comparivano strane figure silenziose ed artefatte. Non disse nulla per non essere ridicolizzato, anche se tutti sembravano preda di personali allucinazioni. All’interno del furgone persisteva una dura cappa di silenzio, ciascuno era irrimediabilmente perso nelle rispettive illusioni. Per due volte Accio frenò sterzando bruscamente, come se cercasse di evitare, od investire, un pedone. Da parte sua Floriana sporse la testa dal finestrino, e cominciò a salutare un immaginario saggio della foresta, seduto dinanzi ad un ruscello, intento a pescare ed elaborare parabole molto sagge.

“Ei, nonno, vieni anche tu alla festa? Sì? Bene, allora ci vediamo, fatti accompagnare dalla nonna, ha perso tutta la memoria!” Floriana aveva sognato suo nonno, morto diversi anni prima, ed aveva scordato dove si trovava. Riccardo la osservò per alcuni secondi, e la vide vestita come una tipica donna anziana dell’interno, ossia gonna lunga, camicia e fazzoletto nero legato al capo. Nel frattempo Tony aveva assunto il ruolo del suo alter ego, Barcellona, così cominciò a muoversi a ritmo di musica, immaginando di trovarsi sul cubo di una famosa discoteca del litorale adriatico. Era probabilmente convinto d’indossare piume ed abiti attillati, magari vaneggiava su un folto pubblico che lo acclamava, mentre imitava tanto i suoi passi quanto le sue giravolte. Nell’oscurità del furgone s’intravedevano le sue braccia muscolose, che si muovevano come serpenti ipnotizzati da una schiera di flauti. Di tanto in tanto Accio si voltava a guardarlo, ma sulle sue labbra sfregiate non c’era l’accenno di un sorriso: per lui le movenze di Tony erano terribilmente serie, e forse avevano un loro oscuro significato, come un misterioso codice babilonese da decifrare. Drago, intanto, giaceva semisvenuto con parte del corpo ancora all’esterno del finestrino: se fosse incappato su un ramo sporgente, questo gli avrebbe sfregiato buona parte del viso. Francesca, invece, era immobile e fissava il vuoto, ostaggio di chissà quali visioni. Forse intravedeva immagini della sua infanzia, quando attendeva che la madre concludesse il suo turno di lavoro. Riccardo, invece, teneva la mano sinistra sul suo occhio destro, e continuava a vedere Elisa in tutti gli angoli del bosco: sul sentiero, accovacciata sulle rocce, sui rami degli alberi, addirittura fluttuante a mezz’aria. Ad intervalli compariva suo padre che armeggiava con bizzarri apparecchi elettronici, ghignando come un alienato mentale privato delle sue medicine.

“America, ecco l’America!” Urlò Drago, come un immigrato italiano calabrese nei primi del novecento. Dopo qualche secondo anche gli altri videro le luci del paese, inaugurando una conversazione che avrebbe interessato qualsiasi studioso della psiche umana. Il paese era situato su una collina, e le periferie sembravano sospese nell’aria, pronte a spiccare il volo verso sconosciute costellazioni. Accio cominciò a fregarsi le mani come il perfido delle fiabe, mentre gli altri persistevano nel loro chiacchiericcio, che intanto diventava sempre più fitto ed incomprensibile. Nel frattempo Drago ritornò all’interno del furgone, che percorreva a folle velocità il letto asciutto di un torrente. Quando cominciò una salita in cemento, tutti pensarono di trovarsi su un pericoloso sentiero di montagna. Accanto alla strada, tanto a destra quanto a sinistra, spiccavano vigne, frutteti e campi coltivati. Non mancavano gli uliveti, che illuminati dalla luna parevano una fedele rappresentazione del Getsemani. Tutt’intorno dominava una serena solitudine, anche se le luci del paese, e le stesse case, s’intravedevano con sempre maggior chiarezza. Inaspettatamente terminarono l’impervia salita, e dopo aver percorso pochi chilometri si ritrovarono nella periferia del paese. Ciò aveva un significato: Accio non aveva guidato in preda a chissà quali visioni, il sentiero appena percorso era senz'altro una scorciatoia.

Vincenzo M. D'Ascanio, brano tratto dal romanzo "Eclissi"

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