Il tragitto per
arrivare alla “casa” fu un viaggio devastante, infatti, dovettero utilizzare
tutte le loro energie per avere ragione dei mobili. Ogni tanto il povero Drago
era schiacciato da un tavolo, violentato da una poltrona, umiliato da una
libreria, schiaffeggiato da una branda. Alex guidava come uno psicopatico dopo
aver svaligiato una banca, non era di certo preoccupato delle condizioni dei
passeggeri, simili a quelle di due giovani mozzi che, dotati di buona volontà, fronteggiano
una devastante tempesta tropicale. Di tanto in tanto Drago allungava la mano, così
Riccardo lo riafferrava tra quell’ammasso di legna e cartone, che l’avrebbe
potuto trasformare in misera poltiglia palpitante. Drago cercava di ringraziarlo,
o almeno così sembrava, poiché il suo linguaggio era troncato dalla paura per un
nuovo scossone. Riccardo, intanto, dava calci e pugni sulla lamiera, urlava,
sbraitava e digrignava i denti. Accio lo guardò dallo specchietto retrovisore
con i suoi occhi di ghiaccio, sporse leggermente il braccio destro ed allungò
il dito medio. Nel frattempo Alex calcò con veemenza il pedale del freno, e
quasi “inchiodando” giunsero finalmente
alla meta.
Quando scese dal
mezzo Riccardo quasi non perse l’equilibrio, e si dovette appoggiare ad Alex
nel medesimo istante in cui lo malediva. Drago, invece, cadde dal furgone schiantandosi
sull’asfalto, e dovettero sollevarlo di peso quasi esanime. Quando si rialzò li
osservò con occhi folli, così Accio gli offrì una sigaretta. Lui rispose
orgogliosamente che “aveva le sue”,
le terribili “Quattro Nazioni” senza filtro. Le sigarette di Drago producevano
un odore nauseabondo che sembrava provenire dalle raffinerie del golfo, pertanto
Riccardo si spostò, e solo allora si accorse del quartiere in cui si trovavano...
Non intendo essere drammatico, ma quel pomeriggio sembravano sbarcati in altre
regioni della terra, forse dell’America Latina o dell’Africa. Il quartiere era il
risultato della scelleratezza delle amministrazioni locali, che avevano asserragliato
parte della popolazione (ovviamente, quella più povera) in un vero e proprio
ghetto. Erano presenti malconci palazzi popolari, ed in tutto il perimetro del
quartiere non era presente una farmacia, un supermercato, un asilo, e non c’era
nemmeno la fermata dell’autobus.
Quando Riccardo si
voltò, vide una grande piazza rettangolare in cemento armato, dove alcuni giovinastri
si divertivano con un pneumatico appeso ad un’altalena, per addestrare un
grosso pit bul. L’animale saltava e mordeva con forza il pneumatico mentre i
ragazzotti, con indosso giubbotti e jeans strettissimi, lo colpivano con possenti
bastonate, commentando entusiasti i salti del povero animale, reso ormai pazzo
da nervoso e fatica. La piazza era disseminata da rottami, cocci di bottiglia,
sassi, schegge di vetro, e su tutto spiccavano alcuni ciclomotori totalmente
carbonizzati, moderni totem consacrati al dio del degrado. Sopra le loro teste,
all’interno di un balcone pericolosamente scrostato, una ragazza trasandata
appendeva i panni: era magrissima, pallida come un vampiro in crisi di astinenza.
“Ricky, muoviti”,
disse Accio, “prima ci muoviamo e prima andiamo via, dannazione!”
Riccardo si avvicinò
al furgone, attendendo il primo mobile dalle braccia di Alex. Si trattava di un
vecchio comodino ricoperto di polvere, che riuscì a trasportare su per le scale
con uno sforzo immane... Mentre posava il piede sul primo scalino del secondo
piano, una bambina si presentò dinanzi a lui. Riccardo si fermò per riprendersi
dalla fatica, e questa lo osservò con occhi drasticamente malinconici. In una
mano stringeva una piccola busta contenente chissà quali cianfrusaglie, mentre
nell’altra aveva un piccolo pupazzetto sporco, simile a quelli che un tempo si trovavano
all’interno dei detersivi. Il ragazzo la lasciò passare, e se non avesse avuto
quell’ammasso di compensato tra le mani, le avrebbe di certo accarezzato i capelli.
Forse le avrebbe posto qualche domanda, magari avrebbe cercato un espediente per
farla sorridere. Tuttavia si limitò a strascicare un “ciao” e lei rispose con un sorriso, pronta ad acciuffare insetti
tra quelle aiuole ricche di rottami, poltiglia e lordume, con i suoi occhi
verdolini e con le sue manine da fata scandinava.
Un piano, due piani,
tre piani ed ecco finalmente Drago dinanzi alla porta, un portone enorme,
blindato, spropositato e possente. Dopo qualche secondo Drago gli indicò tre
profonde infossature non lontane dalla serratura, causate evidentemente da
un’arma da fuoco. Riccardo allora lo guardò con autentica angoscia, ma lui
ricambiò i suoi occhi preoccupati con spensieratezza. Certo, aveva perso
qualche dente, ma quel sorriso era come un tramonto sul mare, e Riccardo non
poté fare a meno di provare un senso di pace e tranquillità, come se quelle
ammaccature fossero un elemento comunemente accettato dalla società civile. Sì,
in effetti, Drago aveva finalmente trovato la sua sistemazione, e non poteva
rovinargli quel momento con le sue inquietudini.
Dopo aver trasportato
il resto della mobilia Drago preparò un ottimo caffè, dunque ci fu il consueto
rito della cannabis. In stato di totale sballo
Alex e Accio ripartirono per le rispettive destinazioni, mentre Riccardo
ritornò sino al vicino appartamento.
Vincenzo M. D'Ascanio, brano tratto dal romanzo "Eclissi"
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