Riccardo aprì gli occhi, e si trovò come sempre nella sua
camera ricca di oggetti, alcuni dei quali scintillavano nella luce fredda del
mattino. Accanto a lui non c’era Elisa, ma non era ancora riuscito ad abituarsi.
Ogni volta, quando si svegliava, si aspettava di trovarla nella sua consueta
posizione, coricata sul fianco sinistro, con i lunghi capelli sparsi sul
cuscino. Lui allora l’avrebbe abbracciata con delicatezza, per capire se
dormiva oppure era già sveglia. Elisa, invece, non c’era e non ci sarebbe più
stata, perché la sua ragazza l’aveva definitivamente lasciato. “Dobbiamo
prenderci una pausa”, aveva detto, “voglio ritrovare i miei spazi vitali”.
Spazi vitali... Solo Hitler aveva usato quel termine, e non l’aveva fatto con
buone intenzioni. Era abitudine di Elisa utilizzare termini complessi, ed era
abitudine di Riccardo non comprenderli sino in fondo, lasciando spazio a dubbi
ed interpretazioni. Tuttavia quelle parole, “spazi vitali”, gli erano rimaste
decisamente sullo stomaco, come un pranzo di gala mal digerito. Per alcune
notti avevano dormito ancora insieme, poi lei aveva deciso che non dovevano più
vedersi, senza chiarire cosa sarebbe accaduto quando avrebbe finalmente trovato
questi famosi spazi.
La decisione l’aveva colto impreparato, ma da qualche tempo
era entrato in un periodo in cui l’assenza di forti emozioni era una costante.
Forse era stato quello il motivo per cui aveva deciso di andarsene, forse la
loro vita era diventata sin troppo monotona? Alla domanda non trovava risposta,
ma sapeva che il loro rapporto si era adagiato su un livello scontato ed
irreversibile. Nonostante ciò Riccardo l’amava ancora, ma per abitudine od
eccessiva sicurezza aveva dato troppe cose per scontate. Stavano insieme da
quasi cinque anni, in effetti, dal primo anno dell’Università, ed il ragazzo nemmeno
ricordava la vita senza di lei. Tutto quello che facevano lo facevano insieme:
andavano a lezione (dove si erano conosciuti), frequentavano gli stessi amici, socializzavano
nei medesimi ambienti. Probabilmente questa simbiosi era stata la causa
principale del dissolversi di un amore che pareva indistruttibile.
Riccardo persisteva ad osservare il soffitto, come se da un
momento all’altro potessero comparire le risposte che non riusciva a trovare. Cercava
di mettere ordine nella propria mente, sconvolta da un sogno di cui gli
restavano solo pochi sprazzi. Ricordava Elisa che gli urlava qualcosa, ma non
ricordava affatto cosa. L’aveva sognata decine di volte, forse perché quella
stanza gli parlava continuamente di lei... Non era una camera particolarmente accogliente,
troppi oggetti la riempivano, facendola sembrare una sorta di rivendita di
apparecchiature tecnologiche. Tuttavia lui era affezionato ad ogni centimetro
quadrato, sopratutto alla finestra con vista sul quartiere, ai numerosi libri disposti
disordinatamente sul comodino, alla foto dei suoi amici d’infanzia appesa accanto
alla porta. Gli altri oggetti erano status symbol, moderni riconoscimenti del suo
prestigio e di quello della sua ricca famiglia. Dopo pochi istanti il suo
sguardo si posò sul televisore LED quarantadue pollici, fissato alla parete
opposta. Ora era spento, e sembrava un quadro dedicato all’impenetrabile
oscurità della notte. Era stata Elisa a scegliere modello, marca e dimensione,
perché era sempre lei a decidere i loro acquisti... Lui accettava volentieri il
ruolo di spettatore pagante: ad ogni acquisto entrambi si sentivano elettrizzati,
liberi, e per un pugno di giorni il loro umore galleggiava sulla consapevolezza
di quel nuovo dispositivo. Naturalmente non avevano bisogno di quella miriade
di prodotti, la loro era sopratutto una necessità psicologica, un rito pagano
da celebrarsi nei centri commerciali, moderne cattedrali del culto consumistico.
Per entrambi fare shopping era come un’abluzione purificatrice, e soltanto nel
momento della scelta si sentivano del tutto assolti.
A dispetto di molti insensati ed inopportuni acquisti, se
non altro quel televisore era servito a trascorrere il tempo. Diverse volte lui
ed Elisa avevano visto programmi durante le fredde sere invernali, oppure le torride
notti estive. Elisa riusciva raramente a restare sveglia per più di mezz’ora,
si appoggiava al petto di Riccardo e sprofondava nelle sue illusioni, magari
sognando l’ennesimo cellulare od una sontuosa borsa all’ultimo grido. Talvolta
Riccardo si sorprendeva ad osservarla, perché Elisa era bella come una
principessa araba. Quando poi dormiva, e con le sue frasi inopportune non
rovinava tutto, sembrava davvero un angelo sceso dal cielo per un viaggio tutto
compreso.
Riccardo abbandonò il letto, cercando di scacciare ricordi
che bruciavano come carboni ardenti. Nell’appartamento non c’era nessuno, Giuliano
era già andato al tirocinio per consulente, mentre Marco doveva essere a
lezione. Come abitudine il bagno era stato trasformato in acquitrino, tuttavia
era libero, evento più unico che raro. La mattina Giuliano battagliava
tenacemente con la ribelle capigliatura, ma nonostante gli sforzi ne usciva
perdente e più spettinato di prima. Suo fratello Carlo, invece, era ancora
addormentato e sino alle dieci, per svegliarlo, sarebbe servita la detonazione
di qualche mina anticarro.
Riccardo si guardò il palmo delle mani con la stessa
espressione di un veggente, dunque si appoggiò al lavandino ed osservò
l’immagine riflessa, stentando a riconoscersi. Mentre si lavava il viso ricordò
all'improvviso il sogno di quella notte. Lui ed Elisa passeggiavano su una spiaggia
deserta, ma lei non voleva tenergli la mano. Tra loro incombeva un’atmosfera inquietante,
come se da un momento all’altro dovesse accadere l’irreparabile. La luna le
illuminava il bel viso, ed Elisa continuava a gesticolare con le mani, come se
stesse discutendo con un fantasma della sua mente. Riccardo provava ad
avvicinarsi ma era sistematicamente respinto, e nei suoi occhi leggeva la
medesima espressione di quando parlarono per l’ultima volta.
Infastidito ed appesantito andò in cucina, dove numerosi
piatti sporchi facevano bella mostra dal lavandino. Una busta colma di
spazzatura penzolava tristemente dalla maniglia della finestra: ormai il
cestino era considerato un optional, di cui nessuno intendeva più servirsi.
Riccardo considerò che la giornata non potesse iniziare in modo peggiore. Almeno
non c’era Carlo, che durante la colazione si massaggiava generosamente i
genitali. Cercando di non pensare a nulla osservò il latte bollire, poi attese
che il caffè fosse pronto, con uno stato d’animo quantomeno demoralizzato. Infine,
sconfitto dall’apatia, fece colazione senza sedersi e mangiando il più rapidamente
possibile. Ritornò in camera ed aprì il cassetto del comodino, dove erano
disposti ordinatamente gli ansiolitici prescritti dal suo compiacente medico.
Nell’ultimo periodo non era stato bene: soffriva di una grave insonnia, e
talvolta era vinto da un’incontrollabile agitazione.
Una pastiglia dopo colazione, una dopo pranzo ed una dopo cena,
possibilmente senza saltare gli orari. I farmaci gli avevano restituito il
sonno ed avevano allentato gli attacchi di panico, ma un malessere latente
continuava ad imperversargli nella mente come un ospite incivile ed
indesiderato. Aveva sofferto del male oscuro sin dai tempi delle superiori, e
dopo un periodo di relativa pace il problema si era ripresentato, in
concomitanza con l’allontanamento di Elisa. Lei gli aveva dato una certa
sicurezza, spazzata via dall’incrinarsi del loro rapporto. Senza rendersene
conto quella ragazza era il più efficace di tutti gli antidepressivi, prescritti
nel lungo rapporto col lato più fragile della sua personalità.
Vincenzo M. D'Ascanio, brano tratto dal romanzo "Eclissi".
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