mercoledì 3 giugno 2015

Il risveglio senza di lei....




Riccardo aprì gli occhi, e si trovò come sempre nella sua camera ricca di oggetti, alcuni dei quali scintillavano nella luce fredda del mattino. Accanto a lui non c’era Elisa, ma non era ancora riuscito ad abituarsi. Ogni volta, quando si svegliava, si aspettava di trovarla nella sua consueta posizione, coricata sul fianco sinistro, con i lunghi capelli sparsi sul cuscino. Lui allora l’avrebbe abbracciata con delicatezza, per capire se dormiva oppure era già sveglia. Elisa, invece, non c’era e non ci sarebbe più stata, perché la sua ragazza l’aveva definitivamente lasciato. “Dobbiamo prenderci una pausa”, aveva detto, “voglio ritrovare i miei spazi vitali”. Spazi vitali... Solo Hitler aveva usato quel termine, e non l’aveva fatto con buone intenzioni. Era abitudine di Elisa utilizzare termini complessi, ed era abitudine di Riccardo non comprenderli sino in fondo, lasciando spazio a dubbi ed interpretazioni. Tuttavia quelle parole, “spazi vitali”, gli erano rimaste decisamente sullo stomaco, come un pranzo di gala mal digerito. Per alcune notti avevano dormito ancora insieme, poi lei aveva deciso che non dovevano più vedersi, senza chiarire cosa sarebbe accaduto quando avrebbe finalmente trovato questi famosi spazi.

La decisione l’aveva colto impreparato, ma da qualche tempo era entrato in un periodo in cui l’assenza di forti emozioni era una costante. Forse era stato quello il motivo per cui aveva deciso di andarsene, forse la loro vita era diventata sin troppo monotona? Alla domanda non trovava risposta, ma sapeva che il loro rapporto si era adagiato su un livello scontato ed irreversibile. Nonostante ciò Riccardo l’amava ancora, ma per abitudine od eccessiva sicurezza aveva dato troppe cose per scontate. Stavano insieme da quasi cinque anni, in effetti, dal primo anno dell’Università, ed il ragazzo nemmeno ricordava la vita senza di lei. Tutto quello che facevano lo facevano insieme: andavano a lezione (dove si erano conosciuti), frequentavano gli stessi amici, socializzavano nei medesimi ambienti. Probabilmente questa simbiosi era stata la causa principale del dissolversi di un amore che pareva indistruttibile.

Riccardo persisteva ad osservare il soffitto, come se da un momento all’altro potessero comparire le risposte che non riusciva a trovare. Cercava di mettere ordine nella propria mente, sconvolta da un sogno di cui gli restavano solo pochi sprazzi. Ricordava Elisa che gli urlava qualcosa, ma non ricordava affatto cosa. L’aveva sognata decine di volte, forse perché quella stanza gli parlava continuamente di lei... Non era una camera particolarmente accogliente, troppi oggetti la riempivano, facendola sembrare una sorta di rivendita di apparecchiature tecnologiche. Tuttavia lui era affezionato ad ogni centimetro quadrato, sopratutto alla finestra con vista sul quartiere, ai numerosi libri disposti disordinatamente sul comodino, alla foto dei suoi amici d’infanzia appesa accanto alla porta. Gli altri oggetti erano status symbol, moderni riconoscimenti del suo prestigio e di quello della sua ricca famiglia. Dopo pochi istanti il suo sguardo si posò sul televisore LED quarantadue pollici, fissato alla parete opposta. Ora era spento, e sembrava un quadro dedicato all’impenetrabile oscurità della notte. Era stata Elisa a scegliere modello, marca e dimensione, perché era sempre lei a decidere i loro acquisti... Lui accettava volentieri il ruolo di spettatore pagante: ad ogni acquisto entrambi si sentivano elettrizzati, liberi, e per un pugno di giorni il loro umore galleggiava sulla consapevolezza di quel nuovo dispositivo. Naturalmente non avevano bisogno di quella miriade di prodotti, la loro era sopratutto una necessità psicologica, un rito pagano da celebrarsi nei centri commerciali, moderne cattedrali del culto consumistico. Per entrambi fare shopping era come un’abluzione purificatrice, e soltanto nel momento della scelta si sentivano del tutto assolti.

A dispetto di molti insensati ed inopportuni acquisti, se non altro quel televisore era servito a trascorrere il tempo. Diverse volte lui ed Elisa avevano visto programmi durante le fredde sere invernali, oppure le torride notti estive. Elisa riusciva raramente a restare sveglia per più di mezz’ora, si appoggiava al petto di Riccardo e sprofondava nelle sue illusioni, magari sognando l’ennesimo cellulare od una sontuosa borsa all’ultimo grido. Talvolta Riccardo si sorprendeva ad osservarla, perché Elisa era bella come una principessa araba. Quando poi dormiva, e con le sue frasi inopportune non rovinava tutto, sembrava davvero un angelo sceso dal cielo per un viaggio tutto compreso.
Riccardo abbandonò il letto, cercando di scacciare ricordi che bruciavano come carboni ardenti. Nell’appartamento non c’era nessuno, Giuliano era già andato al tirocinio per consulente, mentre Marco doveva essere a lezione. Come abitudine il bagno era stato trasformato in acquitrino, tuttavia era libero, evento più unico che raro. La mattina Giuliano battagliava tenacemente con la ribelle capigliatura, ma nonostante gli sforzi ne usciva perdente e più spettinato di prima. Suo fratello Carlo, invece, era ancora addormentato e sino alle dieci, per svegliarlo, sarebbe servita la detonazione di qualche mina anticarro.

Riccardo si guardò il palmo delle mani con la stessa espressione di un veggente, dunque si appoggiò al lavandino ed osservò l’immagine riflessa, stentando a riconoscersi. Mentre si lavava il viso ricordò all'improvviso il sogno di quella notte. Lui ed Elisa passeggiavano su una spiaggia deserta, ma lei non voleva tenergli la mano. Tra loro incombeva un’atmosfera inquietante, come se da un momento all’altro dovesse accadere l’irreparabile. La luna le illuminava il bel viso, ed Elisa continuava a gesticolare con le mani, come se stesse discutendo con un fantasma della sua mente. Riccardo provava ad avvicinarsi ma era sistematicamente respinto, e nei suoi occhi leggeva la medesima espressione di quando parlarono per l’ultima volta.

Infastidito ed appesantito andò in cucina, dove numerosi piatti sporchi facevano bella mostra dal lavandino. Una busta colma di spazzatura penzolava tristemente dalla maniglia della finestra: ormai il cestino era considerato un optional, di cui nessuno intendeva più servirsi. Riccardo considerò che la giornata non potesse iniziare in modo peggiore. Almeno non c’era Carlo, che durante la colazione si massaggiava generosamente i genitali. Cercando di non pensare a nulla osservò il latte bollire, poi attese che il caffè fosse pronto, con uno stato d’animo quantomeno demoralizzato. Infine, sconfitto dall’apatia, fece colazione senza sedersi e mangiando il più rapidamente possibile. Ritornò in camera ed aprì il cassetto del comodino, dove erano disposti ordinatamente gli ansiolitici prescritti dal suo compiacente medico. Nell’ultimo periodo non era stato bene: soffriva di una grave insonnia, e talvolta era vinto da un’incontrollabile agitazione.


Una pastiglia dopo colazione, una dopo pranzo ed una dopo cena, possibilmente senza saltare gli orari. I farmaci gli avevano restituito il sonno ed avevano allentato gli attacchi di panico, ma un malessere latente continuava ad imperversargli nella mente come un ospite incivile ed indesiderato. Aveva sofferto del male oscuro sin dai tempi delle superiori, e dopo un periodo di relativa pace il problema si era ripresentato, in concomitanza con l’allontanamento di Elisa. Lei gli aveva dato una certa sicurezza, spazzata via dall’incrinarsi del loro rapporto. Senza rendersene conto quella ragazza era il più efficace di tutti gli antidepressivi, prescritti nel lungo rapporto col lato più fragile della sua personalità.

Vincenzo M. D'Ascanio, brano tratto dal romanzo "Eclissi".

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