Riccardo si stava lasciando prendere la mano, aveva mischiato
tanti farmaci da stendere un elefante. Se un medico l’avesse visitato in quel
momento, gli avrebbe concesso poche ore di vita. Quando si sedette a tavola
faticava a tenere gli occhi aperti, era come se un pescatore pazzo gli avesse
sistemato due piombini sulle palpebre. Tutt'intorno era come calata una coltre
di nebbia, ciò nonostante riusciva a mantenere un contegno e questo era sufficiente.
Quando arrivò il padre si alzò per stringergli la mano, gesto formalizzato da
tempo, come un marito metodico che regala i fiori nel giorno di S. Valentino. Nei
confronti del genitore provava una bizzarra sensazione, normalmente ne subiva il
forte carattere, ma quella sera era come se si trovasse dinanzi ad un clown che
avesse esaurito battute, barzellette e scherzi.
In seguito arrivò la sorella Cecilia, che indossava abiti
dai molteplici colori e naturalmente delle più costose marche. A Riccardo parve
una valletta un po’ mignotta, e gli scappò da ridere. La ragazza reagì con
risentimento, come se avesse appena ricevuto una frustata sulla schiena.
“Ti faccio molto ridere, ma tu ti sei visto?”
“Ma figurati, Cecilia, non ridevo di te. Ho ricordato un
episodio di questi giorni.”
“Raccontacelo, dai”, disse la sorella con un pizzico
d’ironia.
“Magari più tardi. Adesso sono un po’ stanco, non ho voglia
di parlare, scusami...”
Cecilia abbozzò un sorriso complice, e nonostante fosse in
totale balia dei farmaci, Riccardo dimostrò a se stesso che poteva gestire le
situazioni. Tuttavia doveva mantenere il controllo, con suo padre avrebbe
potuto imboccare una strada senza ritorno. Si sentiva come una sorta di
equilibrista gitano, in bilico su un filo sospeso a quaranta metri di altezza e
senza protezione.
“Allora Ricky, come vanno le cose?”, chiese il padre, dopo
avergli domandato qualche informazione sul fratello Carlo, in eterna lotta con
gli esami universitari.
“Abbastanza bene, al call center è un tira e molla generale...”
“Tua madre mi ha detto dei problemi con quella tua ragazza.”
“Ex... Ormai non sono problemi, è una situazione di fatto.”
“Non pensarci, le donne vanno e vengono, come le nuvole. Vedrai,
tra qualche settimana l’avrai già dimenticata... Piuttosto veniamo alle cose
serie, parlami del televisore appena acquistato, Carlo mi ha detto che si
tratta di un quarantadue pollici a schermo piatto...”
“Si, è un LED ultima generazione della SAMAS, spesso come
una sottiletta.”
“Ottima scelta, davvero ottima scelta, tale padre, tale
figlio. Certo, forse avrei acquistato qualcosa di più grande, ma per la tua
stanza può andare. Sei entrato in soggiorno? Hai visto il nuovo televisore? No?
Copre quasi tutta la parete, forse per apprezzarlo sarebbe meglio guardarlo dal
balcone, ma certe immagini, ed i suoni... L’altra sera abbiamo visto “Salvate il soldato Ryan”, mi sono
immedesimato talmente tanto che se avessi avuto una bomba a mano l’avrei
lanciata nella casa del vicino. In pochi possono permetterselo, stiamo
diventando una famiglia sempre più rispettabile...”
In seguito a questo commento intervenne la signora, con lo
stesso tono di una casalinga brasiliana, che battibeccava aspramente con un
gruppo di narcotrafficanti adolescenti.
“Dai, caro, sempre con questa storia, non puoi considerare
la rispettabilità di una famiglia in base al televisore del salotto, oppure analizzando
i loro possibili acquisti...”
“Come no?” Rispose contrariato il capofamiglia, ponendo una
mano in avanti come a voler simulare un saluto nazista. “Pensa al popolino delle
periferie, non hanno nessuna possibilità di decidere, scimmie chiuse in gabbie
senza serratura. Solo famiglie come la nostra sono realmente libere, noi abbiamo
la dignità dell’opzione, possiamo decidere cosa comprare e scegliere tra diverse
opportunità. Quella gente spaventata, invece, arretra in un angolo, mentre noi pratichiamo
e progrediamo! Siano benedetti i centri commerciali, dove possiamo trovare quella
libertà negata dalle litanie religiose, e della sinistra più conservatrice...”
“Tutti sappiamo che dignità e povertà non sono due opposti,
ma possono convivere insieme!” Ribatté seccata la donna, che ostentava la
mascella destra come se stesse invitando il marito ad assestarle un potente
gancio destro.
“Certo, per essere persone dotate di moralità non occorre
essere benestanti. Ma qui stiamo parlando di libertà, non solo di dignità. Senza
i nostri soldi dovremo continuamente accontentarci, sbavare davanti alle
pubblicità delle vacanze, dei televisori o magari delle auto. Quando riuscirò
ad aumentare ulteriormente il nostro patrimonio allora ci sarà da ridere,
potremo permetterci la maggior parte dei prodotti esistenti in commercio e nessuno,
dico nessuno, potrà strapparci le nostre conquiste! Insomma, considera Cecilia,
è la più invidiata della classe, le sue amiche darebbero un braccio per
vestirsi come lei, ed avere alcuni dei suoi dispositivi. Scommetto che quando
ha portato il suo nuovo cellulare a scuola, per poco non le hanno fatto
un’ovazione. Questa è vera libertà, questa è soddisfazione, stiamo discutendo
di autentica evoluzione...”
Nel frattempo Riccardo, pur frastornato dall’abuso dei
farmaci, ascoltava e prendeva atto della concretezza del discorso. Sin da quando
era bambino, aveva ascoltato il padre esporre quei concetti, e non comprendeva perché
la madre gli si opponesse. Raggiungere un alto standard di vita è un traguardo,
un valido obiettivo da raggiungere, questo è il riassunto di ogni rapporto
sociale. Chi non ci riesce è uno sconfitto, un reietto, un individuo scaraventato
e perso in uno sconfinato oceano di fallimenti. Il ragazzo aveva perfettamente
assimilato quelle opinioni, tanto da considerarle scontate, come se il padre
stesse sostenendo che i cani fossero animali dotati di coda e totalmente privi
di parola. Nulla di più banale poteva essere espresso così efficacemente.
Nel frattempo Cecilia appoggiava la madre, così s’intromise
per rafforzare le tesi della donna, che intanto serviva la cena con
l’atteggiamento di una presentatrice di talk show.
“Papà, non puoi pensare di riprodurre fatti tra loro
contrapposti. Le persone possono fare scelte diverse, preferire vivere in
povertà e dedicarsi completamente al proprio spirito, oppure alla comunità in
cui vivono... Insomma, le possibilità sono tutte valide e non sono assolute!”
Pronunciata questa frase, Riccardo fu quasi sopraffatto da
un conato di vomito. Sentire proprio Cecilia parlare in quel modo lo
scombussolava dalle viscere. Da parte sua il padre la guardò, come se stesse
osservando una regista di soap opera totalmente cieca.
“Ah, dunque, secondo te, la loro è una scelta... Oppure sono
costretti a vivere in quel modo?”
Detto questo l’uomo mise una mano nella tasca della giacca,
dunque fece scivolare un cellulare di ultima generazione proprio nel bel mezzo
del tavolo.
“Figlia mia, osservalo bene”, disse, “perché tutti desiderano
un cellulare come questo. Non farmi credere che qualche disgraziato preferisca
non averlo, perché non ti crederò mai. La vita è competizione, ed il successo è
misurato dai beni che ciascuno possiede. La gente asserragliata nei conventi,
nelle comunità, oppure che si accontentano, in realtà hanno deciso di ritirarsi
dalla competizione, perché coscienti della loro inevitabile sconfitta...”
Il padre di Riccardo non aveva mai avuto dubbi: per lui
l’esistenza è competizione tra individui, traguardo l’esclusiva appropriazione
di beni materiali. La sua visione avrebbe fatto gioire anche il più pessimista
degli operatori di marketing. Riccardo era cresciuto tra questa sorta d’ideali,
senza mai metterli in discussione. In effetti, uno dei suoi problemi era
trovare un lavoro che lo realizzasse non dal punto di vista mentale, ma che
fosse in grado di permettergli un alto budget di spesa. Per carità, anche lui
possedeva un cellulare di ultima generazione, ma per non deludere il padre doveva
padroneggiare nuovi e più costosi status symbol.
“Si, in effetti”, disse Riccardo come un automa, “possedere
delle belle cose non può che piacere a tutti, del resto, da quando ho
acquistato il nuovo televisore, la mia vita è migliorata...”
“Certo!” Esclamò il padre, battendo il pugno sul tavolo, “il
possesso non è fine a se stesso, il rapporto con l’oggetto è soltanto un
feticcio. E’ il sapere che possiamo permettercelo, il reale motivo della nostra
soddisfazione!”
La discussione fu infine abbandonata, e dopo cena la
famiglia si ritirò nel soggiorno, dove sul mega televisore andava in onda un
oscuro film su una ninfomane scozzese violentata dallo zio paterno. Riccardo
era gradevolmente intontito dal mix di farmaci, e con estrema fatica riuscì a tenersi
sveglio. Il suo sforzo durò per una ventina di minuti, quindi si addormentò
come se avesse lavorato per due giorni di fila, cogliendo pomodori e strappando
erbacce nelle campagne napoletane.
Riccardo si stava lasciando prendere la mano, aveva mischiato
tanti farmaci da stendere un elefante. Se un medico l’avesse visitato in quel
momento, gli avrebbe concesso poche ore di vita. Quando si sedette a tavola
faticava a tenere gli occhi aperti, era come se un pescatore pazzo gli avesse
sistemato due piombini sulle palpebre. Tutt’intorno era come calata una coltre
di nebbia, ciò nonostante riusciva a mantenere un contegno e questo era sufficiente.
Quando arrivò il padre si alzò per stringergli la mano, gesto formalizzato da
tempo, come un marito metodico che regala i fiori nel giorno di S. Valentino. Nei
confronti del genitore provava una bizzarra sensazione, normalmente ne subiva il
forte carattere, ma quella sera era come se si trovasse dinanzi ad un clown che
avesse esaurito battute, barzellette e scherzi.
In seguito arrivò la sorella Cecilia, che indossava abiti
dai molteplici colori e naturalmente delle più costose marche. A Riccardo parve
una valletta un po’ mignotta, e gli scappò da ridere. La ragazza reagì con
risentimento, come se avesse appena ricevuto una frustata sulla schiena.
“Ti faccio molto ridere, ma tu ti sei visto?”
“Ma figurati, Cecilia, non ridevo di te. Ho ricordato un
episodio di questi giorni.”
“Raccontacelo, dai”, disse la sorella con un pizzico
d’ironia.
“Magari più tardi. Adesso sono un po’ stanco, non ho voglia
di parlare, scusami...”
Cecilia abbozzò un sorriso complice, e nonostante fosse in
totale balia dei farmaci, Riccardo dimostrò a se stesso che poteva gestire le
situazioni. Tuttavia doveva mantenere il controllo, con suo padre avrebbe
potuto imboccare una strada senza ritorno. Si sentiva come una sorta di
equilibrista gitano, in bilico su un filo sospeso a quaranta metri di altezza e
senza protezione.
“Allora Ricky, come vanno le cose?”, chiese il padre, dopo
avergli domandato qualche informazione sul fratello Carlo, in eterna lotta con
gli esami universitari.
“Abbastanza bene, al call center è un tira e molla generale...”
“Tua madre mi ha detto dei problemi con quella tua ragazza.”
“Ex... Ormai non sono problemi, è una situazione di fatto.”
“Non pensarci, le donne vanno e vengono, come le nuvole. Vedrai,
tra qualche settimana l’avrai già dimenticata... Piuttosto veniamo alle cose
serie, parlami del televisore appena acquistato, Carlo mi ha detto che si
tratta di un quarantadue pollici a schermo piatto...”
“Si, è un LED ultima generazione della SAMAS, spesso come
una sottiletta.”
“Ottima scelta, davvero ottima scelta, tale padre, tale
figlio. Certo, forse avrei acquistato qualcosa di più grande, ma per la tua
stanza può andare. Sei entrato in soggiorno? Hai visto il nuovo televisore? No?
Copre quasi tutta la parete, forse per apprezzarlo sarebbe meglio guardarlo dal
balcone, ma certe immagini, ed i suoni... L’altra sera abbiamo visto “Salvate il soldato Ryan”, mi sono
immedesimato talmente tanto che se avessi avuto una bomba a mano l’avrei
lanciata nella casa del vicino. In pochi possono permetterselo, stiamo
diventando una famiglia sempre più rispettabile...”
In seguito a questo commento intervenne la signora, con lo
stesso tono di una casalinga brasiliana, che battibeccava aspramente con un
gruppo di narcotrafficanti adolescenti.
“Dai, caro, sempre con questa storia, non puoi considerare
la rispettabilità di una famiglia in base al televisore del salotto, oppure analizzando
i loro possibili acquisti...”
“Come no?” Rispose contrariato il capofamiglia, ponendo una
mano in avanti come a voler simulare un saluto nazista. “Pensa al popolino delle
periferie, non hanno nessuna possibilità di decidere, scimmie chiuse in gabbie
senza serratura. Solo famiglie come la nostra sono realmente libere, noi abbiamo
la dignità dell’opzione, possiamo decidere cosa comprare e scegliere tra diverse
opportunità. Quella gente spaventata, invece, arretra in un angolo, mentre noi pratichiamo
e progrediamo! Siano benedetti i centri commerciali, dove possiamo trovare quella
libertà negata dalle litanie religiose, e della sinistra più conservatrice...”
“Tutti sappiamo che dignità e povertà non sono due opposti,
ma possono convivere insieme!” Ribatté seccata la donna, che ostentava la
mascella destra come se stesse invitando il marito ad assestarle un potente
gancio destro.
“Certo, per essere persone dotate di moralità non occorre
essere benestanti. Ma qui stiamo parlando di libertà, non solo di dignità. Senza
i nostri soldi dovremo continuamente accontentarci, sbavare davanti alle
pubblicità delle vacanze, dei televisori o magari delle auto. Quando riuscirò
ad aumentare ulteriormente il nostro patrimonio allora ci sarà da ridere,
potremo permetterci la maggior parte dei prodotti esistenti in commercio e nessuno,
dico nessuno, potrà strapparci le nostre conquiste! Insomma, considera Cecilia,
è la più invidiata della classe, le sue amiche darebbero un braccio per
vestirsi come lei, ed avere alcuni dei suoi dispositivi. Scommetto che quando
ha portato il suo nuovo cellulare a scuola, per poco non le hanno fatto
un’ovazione. Questa è vera libertà, questa è soddisfazione, stiamo discutendo
di autentica evoluzione...”
Nel frattempo Riccardo, pur frastornato dall’abuso dei
farmaci, ascoltava e prendeva atto della concretezza del discorso. Sin da quando
era bambino, aveva ascoltato il padre esporre quei concetti, e non comprendeva perché
la madre gli si opponesse. Raggiungere un alto standard di vita è un traguardo,
un valido obiettivo da raggiungere, questo è il riassunto di ogni rapporto
sociale. Chi non ci riesce è uno sconfitto, un reietto, un individuo scaraventato
e perso in uno sconfinato oceano di fallimenti. Il ragazzo aveva perfettamente
assimilato quelle opinioni, tanto da considerarle scontate, come se il padre
stesse sostenendo che i cani fossero animali dotati di coda e totalmente privi
di parola. Nulla di più banale poteva essere espresso così efficacemente.
Nel frattempo Cecilia appoggiava la madre, così s’intromise
per rafforzare le tesi della donna, che intanto serviva la cena con
l’atteggiamento di una presentatrice di talk show.
“Papà, non puoi pensare di riprodurre fatti tra loro
contrapposti. Le persone possono fare scelte diverse, preferire vivere in
povertà e dedicarsi completamente al proprio spirito, oppure alla comunità in
cui vivono... Insomma, le possibilità sono tutte valide e non sono assolute!”
Pronunciata questa frase, Riccardo fu quasi sopraffatto da
un conato di vomito. Sentire proprio Cecilia parlare in quel modo lo
scombussolava dalle viscere. Da parte sua il padre la guardò, come se stesse
osservando una regista di soap opera totalmente cieca.
“Ah, dunque, secondo te, la loro è una scelta... Oppure sono
costretti a vivere in quel modo?”
Detto questo l’uomo mise una mano nella tasca della giacca,
dunque fece scivolare un cellulare di ultima generazione proprio nel bel mezzo
del tavolo.
“Figlia mia, osservalo bene”, disse, “perché tutti desiderano
un cellulare come questo. Non farmi credere che qualche disgraziato preferisca
non averlo, perché non ti crederò mai. La vita è competizione, ed il successo è
misurato dai beni che ciascuno possiede. La gente asserragliata nei conventi,
nelle comunità, oppure che si accontentano, in realtà hanno deciso di ritirarsi
dalla competizione, perché coscienti della loro inevitabile sconfitta...”
Il padre di Riccardo non aveva mai avuto dubbi: per lui
l’esistenza è competizione tra individui, traguardo l’esclusiva appropriazione
di beni materiali. La sua visione avrebbe fatto gioire anche il più pessimista
degli operatori di marketing. Riccardo era cresciuto tra questa sorta d’ideali,
senza mai metterli in discussione. In effetti, uno dei suoi problemi era
trovare un lavoro che lo realizzasse non dal punto di vista mentale, ma che
fosse in grado di permettergli un alto budget di spesa. Per carità, anche lui
possedeva un cellulare di ultima generazione, ma per non deludere il padre doveva
padroneggiare nuovi e più costosi status symbol.
“Si, in effetti”, disse Riccardo come un automa, “possedere
delle belle cose non può che piacere a tutti, del resto, da quando ho
acquistato il nuovo televisore, la mia vita è migliorata...”
“Certo!” Esclamò il padre, battendo il pugno sul tavolo, “il
possesso non è fine a se stesso, il rapporto con l’oggetto è soltanto un
feticcio. E’ il sapere che possiamo permettercelo, il reale motivo della nostra
soddisfazione!”
La discussione fu infine abbandonata, e dopo cena la
famiglia si ritirò nel soggiorno, dove sul mega televisore andava in onda un
oscuro film su una ninfomane scozzese violentata dallo zio paterno. Riccardo
era gradevolmente intontito dal mix di farmaci, e con estrema fatica riuscì a tenersi
sveglio. Il suo sforzo durò per una ventina di minuti, quindi si addormentò
come se avesse lavorato per due giorni di fila, cogliendo pomodori e strappando
erbacce nelle campagne napoletane.
Vincenzo M. D'Ascanio, brano tratto dal romanzo "Eclissi"